All’interno del carcere il tempo sembra che si sia fermato, riportandoci indietro a distanza di mesi, la stessa situazione, dove paura e preoccupazione prevaricano tutti e tutto.
Le precauzioni adottate hanno imposto la sospensione di tutte le attività e dei colloqui stessi, sono poche le persone recluse che possono ritenersi fortunate, in quanto, svolgendo una mansione lavorativa possono avere quel poco di routine che le restrizioni hanno tolto.
La sospensione dei colloqui sta provocando nervosissimo e ansia, la situazione non una delle migliori, sembra quella di marzo-aprile, anche se adesso si può continuare a usufruire delle videochiamate tramite WhatsApp.
La durata è di venticinque minuti, una durata inferiore rispetto al colloquio visivo, in presenza, ma visto l’emergenza sanitaria da Covid-19 in cui ci troviamo anche in carcere, ci si accontenta di quel poco che è ancora concesso. Nello specifico questa forma di comunicazione risulta essere ottima soprattutto per coloro che non effettuano colloqui, causa la distanza o altri problemi.
Vedere e sentire i propri cari in qualche modo ti tranquillizza e allo stesso tempo allenta la tensione, evitando di farti precipitare, in situazioni o momenti che possono mettere in pericolo il percorso personale intrapreso. Le telefonate ordinarie sono diventate due alla settimana, di cui una straordinaria, con la stessa durata di prima e cioè dieci minuti.
Tutto questo se paragonato con il passato ora, durante la fase emergenziale, sembrerebbe paradossalmente mettere a disposizione più strumenti per coltivare gli affetti, per chi non può usufruire dei colloqui visivi.
Un’altra fonte da cui il detenuto trae, in situazioni normali, un senso di benessere sono i pacchi dei colloqui. La sospensione degli stessi, quindi, durante questa seconda ondata di Coronavirus, risulta essere una delle principali origini dei disagi sentiti dalle persone recluse oltre alla privazione della libertà, generando nervosissimo e malessere, situazioni che non sono in alcun modo favorevoli al suo recupero.
Questa condizione porta con se una consapevolezza maturata in un tempo e un luogo diverso. Restrizioni e condizioni che ora sono comuni a tutti noi, non solo ai detenuti, dovrebbero essere spunto da cui partire per dare vita a una nuova e diversa visione del carcere, con strumenti innovativi che implichino un approccio diretto e risolutivo al malessere della persona reclusa e al suo reinserimento nella società.
Questo momento drammatico, che coinvolge tutti, può essere un’occasione per fare comprendere, anche se in piccolissima parte, come le persone in carcere si sentono all’interno delle sue mura.
Spesso abbandonate a se stesse e isolate dal mondo intero.
Il motore del cambiamento deve essere nello stato d’animo della persona, o quanto meno derivare dalle sue sensazioni e dai suoi sentimenti, fattori fondamentali per completare qualsiasi esistenza e per il suo avvenire. Senza questa percezione e una cura adeguata di essi si lascia spazio a pensieri negativi, che potrebbero in un secondo momento rivelarsi distruttivi.
L’emergenza sanitaria può essere anche un’occasione per capire e migliorare i nostri punti deboli.
Redazione