A due anni dall’insediamento quali risultano essere le principali criticità cui l’Ufficio ha dovuto e continua a dare risposte?
Il primo intervento necessario è stato la riorganizzazione dell’Ufficio, per poter operare in conformità con la Delibera comunale che istituisce la figura del Garante e i relativi compiti.
Per quanto riguarda le criticità incontrate dalle persone private della libertà, sicuramente casa e lavoro ritengo siano i principi fondamentali da tutelare.
L’emergenza abitativa che incontra una persona appena esce dal carcere rappresenta una delle difficoltà maggiori a cui dare risposta. A complicare il quadro complessivo, già di per se difficoltoso in questo periodo, si sommano due ulteriori fattori. Da una parte la chiusura, e la non imminente riapertura, dei bandi per l’assegnazione degli alloggi di edilizia popolare, dall’altra un differente orientamento delle associazioni che storicamente hanno supportato le persone detenute su questo frangente. La mia, quella dell’Ufficio, è un’impressione, non una certezza, ma ci pare che ci si stia orientando verso altre esigenze, verso altre attenzioni, seguendo gli umori della società che sta mutando.
Il problema casa è anche uno dei fronti sui quali maggiormente abbiamo agito e continuiamo a farlo.
Non c’è solo la casa che si deve trovare per ottenere un beneficio, ma a volte quando la stessa c’è, il rischio è di perderla a causa di una prolungata morosità, essendo diminuiti i tempi necessari a far si che l’A.T.C ed il Settore casa del Comune di Torino possano mettere in atto uno sfratto. Proprio in questo contesto abbiamo sperimentato un metodo che funziona grazie alla collaborazione con l’associazione della Caritas diocesana dell’Arcidiocesi di Torino “Le Due tuniche”. Attraverso un intervento economico dell’associazione, che versa la cifra necessaria a mantenere la casa, ed un patto con il beneficiario dell’intervento. La persona deve in qualche modo restituire la cifra, anche con piccole somme mensili. In questo modo siamo riusciti a salvare due case, nel primo caso abbiamo accompagnato la persona alla pensione, nel secondo caso la persona è stata inserita in un percorso di lavoro interno al carcere, così è stato possibile restituire la cifra.
Rispetto alla disponibilità di case per chi è in permesso o in misura alternativa abbiamo recentemente aperto un dialogo con la Sindaca Chiara Appendino in virtù di un censimento iniziato dalla nuova Giunta. Nello specifico la ricognizione, curata dal vicesindaco ed Assessore al Piano regolatore generale e Politiche Urbanistiche Guido Montanari, riguarda i locali di proprietà del comune, chiusi, non agibili o inutilizzati. Spazi che vorremmo capire se in qualche modo si possano utilizzare, anche predisponendo opere di ristrutturazione ed interventi con il coinvolgimento delle persone detenute.
A livello più generale verrà poi aperto un tavolo regionale, dove la nostra idea è quella di proporre convenzioni di housing sociale, alcune sperimentazioni in merito sono in atto in Emilia Romagna, per permettere l’utilizzo di appartamenti a detenuti in permesso o in misura alternativa, possibilità ripagata con l’espletamento di lavori e attività ad uso della collettività e del condominio.
Infine cerchiamo il più possibile laddove sia presente un minimo reddito di accompagnare le persone nel percorso con LO.CA.RE. (il centro servizi del Comune di Torino, nato per favorire l’incontro della domanda e dell’offerta sul mercato privato della locazione in presenza di particolari situazioni di emergenza abitativa).
Altra “emergenza” come precedentemente accennato è il lavoro, a tal proposito qual è il riscontro sull’utilizzo del Buono Servizi?
Sembrerebbe avere portato qualche piccola boccata d’ossigeno, anche se per un’analisi veritiera occorre avere ulteriori considerazioni e qualche dato sui percorsi attivati e sulle assunzioni effettuate. I rimandi delle persone che si rivolgono al nostro Ufficio non sono del tutto positivi. C’è chi ha iniziato un percorso e poi lo ha interrotto, perché non si è sentito accompagnato. Soprattutto per com’era strutturato il Buono Servizi, molti non capivano l’obiettivo, e la progettualità sembrava non rispondere alle esigenze immediate, ai bisogni di cui erano portatrici le persone. Credo che bisogni tenere conto di tutto questo e se ripartiranno, sedersi preventivamente intorno ad un tavolo per capire cosa ha realmente funzionato e cosa no.
Potremmo dire che mancano un po’ di strumenti per una popolazione che ha bisogno di qualche attenzione in più?
Ho l’impressione che in questo momento ci siano altre priorità. Mentre anni fa l’ex detenuto rappresentava la forma più fragile dell’umanità in questa città, oggi non è più così.
Tra le attività della Garante dei diritti delle persone private della libertà un ruolo prioritario è quello dei colloqui con le persone detenute. Qual è la cadenza delle visite alla Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino?
Almeno una volta al mese a rotazione presso tutte le sezioni.
Dal vostro osservatorio quale pare essere la più complessa?
Il Padiglione A con tutte le sue strutture e data la presenza dei presidi sanitari, mentre il luogo più complicato dal punto di vista delle relazioni umane il blocco C. Un padiglione che fa fatica a staccarsi da una vecchia cultura carceraria.
Infine la sezione degli “incolumi fuori circuito”, con persone ristrette che vivono in una sorta di limbo e per le quali non vengono strutturate attività e percorsi di reinserimento. Questa situazione è stata oggetto di segnalazione anche da parte del CPT (Comitato per la prevenzione della tortura) durante l’ultima visita dello scorso aprile 2016.
La situazione presso la sezione femminile ricalca in qualche modo quella del maschile o è differente?
Le donne a mio avviso vivono una situazione ancora più complessa, rispetto agli uomini reclusi nelle sezioni maschili, da un punto di vista delle attività interne. La maggior parte non ha un’occupazione all’interno e ha perso quella all’esterno, che spesso se c’era non era con una posizione regolare ma in “nero”.
Credo che alcuni cambiamenti sono in atto e nuove attività e conseguenti assunzioni sembra debbano partire a breve. Però quello che manca è un’offerta di percorsi anche semplicemente creativi, artistici, in grado di colmare i tempi vuoti della detenzione e promuovere percorsi rivolti all’attenzione e al sostegno della creatività e interessi delle donne.
Una situazione appunto difficile amplificata presso l’I.C.A.M. - Istituto a custodia attenuta per madri – dove si sconta una mancanza di progettualità, dove difetta un minimo di lavoro comune, di vita di comunità. Vengono talvolta attuati percorsi e progetti anche di valore, ma la saltuarietà non consente un vero e proprio percorso di reinserimento, il tutto si esaurisce in cinque o sei lezioni o incontri a tema.
Come si possono colmare alcuni di questi vuoti appena descritti?
Credo che una risorsa importantissima sia rappresentata dal “volontariato mirato”, dove le persone che offrono il proprio tempo, il proprio sapere possano diventare volano del cambiamento, non solo colmando un tempo vuoto ma apportando nuove conoscenze e una visione culturale della pena diversa, che mira all’inclusione.
La maggior parte di chi opera all’interno del carcere di Torino fa parte di associazioni rodate nel tempo, sappiamo quello che fanno. Soprattutto le sperimentazioni portate avanti nel corso degli anni hanno dato dei risultati interessanti, come ad esempio lo sportello di Filosofia. Ultimamente abbiamo rivisto il protocollo con le ACLI, ristrutturando quello precedente in maniera molto più ampia. Lo abbiamo fatto in collaborazione con il Direttore del carcere, il Dott. Domenico Minervini. In questo modo è stato possibile inserire un numero più elevato di volontari che aiutano a sbrigare le pratiche, nonché ampliarne le mansioni. Sempre con l’ACLI ci siamo impegnati per garantire un percorso a favore delle mamme presenti all’I.C.A.M. promosso e gestito dall’Associazione DOULE che partirà a breve.
Vuoti a volte presenti anche nei servizi per la popolazione detenuta, che l’attività del vostro Ufficio, in collaborazione con l’Amministrazione penitenziaria, sta cercando di ridurre, come nel caso della farmacia interna.
È un servizio per il quale abbiamo lavorato molto, perché come era strutturato prima presentava molte problematiche e non garantiva il diritto al farmaco.
Riteniamo di fondamentale importanza garantire alla popolazione detenuta un’adeguata assistenza farmaceutica che consenta l’acquisto di farmaci in fascia C, farmaci da banco e presidi sanitari non concedibili dal SSN e per i quali il cittadino detenuto ne sostiene l’intero costo.
Vigeva un meccanismo complicato per permettere ai detenuti di acquistare i farmaci da banco e di fascia C, che portava a ricevere i farmaci anche decine di giorni dopo la richiesta. Il medico prescriveva il farmaco, la persona detenuta compilava il modulo di richiesta, allegando la prescrizione, da consegnare all’Ufficio Comando che provvedeva ad inviare un Agente in farmacia per il reperimento dei medicinali. Procedura che si allungava se la persona ristretta non abbiente doveva attendere il contributo necessario all’acquisto del farmaco dall’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo.
Ulteriori difficoltà erano rappresentate dalle scarse tipologie di farmaci da banco permesse e dalle verifiche necessarie per richiedere l’intervento economico dell’Ufficio Pio, che anche con il nuovo sistema garantisce la copertura del costo del farmaco ma attraverso una procedura diretta con l’Amministrazione Penitenziaria e di gran lunga più snella.
Per ovviare a tutto questo una farmacia interna poteva essere una soluzione. Quindi interloquendo con ASL, Ordine dei Farmacisti e Farma ONLUS, siamo riusciti a dare il via alla prima sperimentazione in Italia in tal senso.
Il servizio attualmente è strutturato con la fornitura dei farmaci a carico della farmacia delle Vallette, per diritto di territorialità, due volte a settimana in loco presso i locali dell’Asl interna al Carcere. La lista dei farmaci da banco è stata sensibilmente ampliata e comprende anche alcuni presidi medici, come gli occhiali. I farmaci vengono ritirati dagli agenti, nella stanza adibita a farmacia, e distribuiti il giorno stesso. Sono inoltre previsti, da settembre, degli incontri collettivi con la popolazione detenuta e con il farmacista una o due volte al mese, per intraprendere percorsi di prevenzione, per dispensare nozioni sull’uso consapevole del farmaco e per ottenere consigli, così come avviene all’esterno dove il rapporto con il farmacista ha tutt’oggi un influenza positiva sul cliente. Lo step successivo dovrebbe essere quello di affidare la distribuzione del farmaco a detenuti formati con modalità simili a quelle utilizzate per il sopravitto e spostare lo sportello farmaceutico all’interno del Carcere.
Oltre la Casa Circondariale e le persone in esecuzione penale esterna, le attività dell’Ufficio riguardano tutte le persone sottoposte a misure restrittive della libertà, quindi anche i minori e gli stranieri presenti all’I.P.M. Ferrante Aporti. Qui quali sono le maggiori criticità che avete riscontrato?
Sono molteplici da un lato il rinnovo del permesso di soggiorno, problema peraltro presente anche presso la Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno”, dall’altro l’innalzamento del limite d`età per scontare la pena in un carcere minorile da 21 a 25 anni.
Nel primo caso spesso assistiamo a minori che entrano regolari e al compimento del diciottesimo anno diventano irregolari. Dall’altra, in questo momento la presenza maggioritaria non è di minori, ma di giovani adulti, con problematiche e necessità completamente differenti. A Torino la struttura architettonicamente permette di organizzare attività e laboratori separati, ma sicuramente le esigenze di un venticinquenne sono differenti rispetto a quelle di un diciasettenne. Al Ferrante Aporti, persiste una problematica legata all’isolamento termico, nonostante la recente ristrutturazione, nelle camere di pernottamento il caldo in estate diviene insopportabile. Per questo il nostro Ufficio quest’anno ha destinato un piccolo budget all’acquisto di ventilatori che a giorni dovrebbero essere consegnati all’Istituto.
Ecco, lo straniero privato della libertà sia esso minore o maggiorenne può incontrare delle problematicità differenti rispetto ad un cittadino italiano, per l’ottenimento di benefici o per l’espletamento di pratiche burocratiche, come cercate di ovviare a queste difficoltà?
Trovandoci di fronte ad una panoramica variegata e complessa, abbiamo iniziato una collaborazione con l’Ufficio Stranieri del Comune, in modo da seguire insieme i casi più complessi, e attivando strumenti e risorse adeguate per risolvere le numerose problematiche e gli impedimenti burocratici. A settembre è previsto anche un corso di formazione perché l’assenza di mediatori culturali è un grave problema negli istituti non ancora risolto dal DAP.
Anche in questo caso l’Ufficio Stranieri ci è venuto incontro, garantendo la presenza a chiamata di un mediatore culturale. Naturalmente le richieste di intervento saranno valutate dal nostro Ufficio in base alle effettive necessità. I mediatori culturali riteniamo essere figure ormai indispensabili per poter supportare il più possibile le persone straniere, in quanto portatrici di esigenze particolari. Lo testimonia la sperimentazione fatta con ENAIP che attraverso un protocollo d’intesa che ci vede firmatari ha sperimentato la fase di tirocinio di due mediatrici interculturali all’interno del Lorusso e Cutugno supportando positivamente anche l’operato degli educatori e della Direzione. In merito al rinnovo del permesso di soggiorno in realtà esiste un Ordine di servizio che descrive passo passo la procedura, ma come spesso accade gli ordini di servizio sono affissi all’interno degli Uffici del Personale e non sempre comprensibili dalle persone straniere presenti in Istituto. Il nostro ufficio cerca di accompagnare lo straniero alla comprensione della procedura, ma le problematiche sempre diverse e complesse non garantiscono in molti casi di terminare l’iter necessario al rinnovo.
Per coloro che ci richiedono di avviare le procedure di protezione internazionale abbiamo stipulato una convenzione con lo IUC - l'International University College di Torino – che ne prevede l'accompagnamento a titolo gratuito sino alla preparazione della relazione necessaria per presentare la domanda alla Commissione per la valutazione del caso. Al momento gli studenti dello IUC stanno lavorando su cinque segnalazioni di persone ristrette individuate dal nostro ufficio in collaborazione con le mediatrici culturali ENAIP. É una procedura che funziona perché protegge dal rischio dell’espulsione immediata persone che effettivamente si troverebbero in situazioni molto gravi se rientrassero nel loro Paese di origine in quanto espulse dal nostro territorio, ma è ormai noto come oggi sia difficile ottenere Asilo visto più come ultima carta da giocare che non come effettiva necessità del migrante. Circa otto richieste su dieci vengono respinte.
Stranieri, immigrazione, espulsioni e permessi di soggiorno inevitabilmente portano la riflessione alla recente legge di modifica dei CIE in CPR, qual è la prima lettura della normativa dal vostro punto di vista?
Dobbiamo ancora ben capire che cosa succederà concretamente e quindi in questo momento non sarebbe corretto dare un giudizio sull’impianto legislativo. Non credo che la fisionomia dei centri di identificazione ed espulsione possa variare, in quanto già architettonicamente si presentano con caratteristiche per nulla accoglienti e di totale chiusura verso l’esterno.
Meccanismi con costi spropositati di gestione e di mantenimento per rimpatriare persone che molto spesso hanno già scontato una pena in carcere, luogo che potrebbe già servire per l’identificazione e per l’espulsione evitando il passaggio al CPR. Inoltre la totale assenza della conoscenza del “progetto migratorio” di ogni singolo individuo trattenuto è un'altra componente che pone le persone trattenute sempre in una condizione di marginalità e fragilità.
Personalmente ho dei seri dubbi che concretamente cambi qualcosa, avrei auspicato al ritorno del passaporto Nansen, passaporto delle Nazioni Unite internazionale degli anni ’50, che era riuscito a gestire i flussi migratori senza nessun problema.
Una cosa importante comunque da sottolineare è la maggiore apertura, anche per i garanti, quali organi di garanzia per i diritti fondamentali delle persone trattenute, che consentirebbe l’accesso immediato ai Centri senza dover attendere come accade ora l’autorizzazione del Ministero degli Interni che non consente mai un intervento rapido in caso di richiesta.
Infine mi preme sottolineare che tutta l’attenzione riservata ai voli di rimpatrio e all’eventuale accompagnamento da parte dei delegati degli organi di garanzia del nostro Paese, a mio avviso sono al momento interventi incompleti. Nella maggior parte dei casi si interrompono con l’arrivo al Paese di origine delle persone espulse senza conoscere realmente cosa accadrà alle persone rimpatriate, a cosa andranno incontro una volta rientrati a casa loro?
C’è nel programma del Garante Nazionale la prospettiva di lavoro in rete tra Meccanismi di garanzia dei diritti di Paesi diversi, per rafforzare un autentico progetto di tutela delle persone che rientrano trovandosi di fronte al totale fallimento del loro progetto migratorio.
Un ritorno al punto di partenza, un allontanamento che produce costi folli e terribili sofferenze.
Ufficio Garante dei diritti delle persone private della libertà di Torino
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(Redazione) - Immagine: Monica Cristina Gallo, con lo staff dell’Ufficio Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Torino