Lunedì, 02 Maggio 2016 16:02

Modifica del sistema penitenziario

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In questi giorni appena si accende la tv o si sfoglia il giornale balzano all’occhio infinite discussioni su quello che, erroneamente, viene definito tema giustizia.

Basta qualche evento di cronaca (…) per mettere in moto gli imprenditori del panico morale che a reti unificate e con la schiuma alla bocca chiedono non giustizia ma tremenda vendetta.
In questo scenario ho avuto la possibilità di leggere le innumerevoli proposte di modifica del sistema penitenziario emerse nelle discussioni dei Tavoli Tematici degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale e ho trovato tantissime idee valide e percorribili.
Partendo dall’ormai palese situazione, afflittiva, inabilitante e infatilizzante, dell’attuale sistema i tavoli sviscerano le diverse anime della detenzione: dalla sanità al trattamento dei detenuti, dal lavoro ai minori, dalle donne alle dipendenze, dalla cultura agli affetti, all’architettura.
Quello che emerge è il tentativo di cambiare il paradigma della reclusione in uno nuovo nel quale l’esecuzione prescinde dall’utilizzo della struttura carceraria e nel quale aprire le porte del carcere aumenta la sicurezza dei cittadini.
E’ data grande importanza a percorsi che riparano la lacerazione del tessuto sociale che il reato ha determinato e, citando i lavori del Tavolo 17, “se la pena tende al reinserimento, allora tutta l’esecuzione penale deve essere in funzione di questo inserimento”.
Nel Tavolo 18 si evidenzia come il “problema centrale non è la detenzione del condannato, ma l’esecuzione della pena nella sua dimensione esterna e interna” e proprio per questo, come è ben spiegato nel Tavolo 16 “vanno eliminati tutti quegli automatismi e preclusioni che impediscono o rendono difficile l’individuazione dell’adeguato trattamento rieducativo”.
Molto rilievo è dato alle misure e sanzioni di comunità (Tavolo 12), che dati alla mano, permettono di ridurre sensibilmente i tassi di recidiva, ma per far questo è necessario far comprendere all’opinione pubblica che il carcere non dà sicurezza, ma serve solo a rassicurare.
Il Tavolo 17, proprio in questo ambito, propone una serie di misure per incidere sui modi percepire l’esecuzione penale creando, ad esempio una Fiera Nazionale dei Prodotti Galeotti, un portale di vendita on-line o istituendo un Festival Nazionale sul Cinema, Fotografia e Teatro Carcerario così da abbattere finalmente quell’infinità di stereotipi veicolati dai prison-movie americani (A proposito di teatro, a pagina 20 della relazione del Tavolo 9 vengono riportati i dati della recidiva dei detenuti che partecipano ad attività artistiche/culturali, in particolare teatro, in carcere: è al 6% contro il “normale” 70% di chi non svolge alcuna attività).
Non mancano le proposte per migliorare le condizioni della vita detentiva (Tavolo 2) andando oltre il semplice computo delle superfici, ma introducendo misure che abbattano ogni passività e segregazione. Tra queste la liberalizzazione dei colloqui telefonici (oggi in molti carceri non si può neppure chiamare l’avvocato!), la possibilità di usare internet (altrimenti si creano degli analfabeti digitali) e anche l’abolizione di una serie di termini desueti e infantilizzanti (come spesino, scopino, mercede ecc.) che caratterizzano le attività svolte in carcere.
Il Tavolo 6 analizza il sentitissimo tema dell’affettività in carcere, proponendo la creazione di permessi di affettività, telefonate via Skype e colloqui intimi.
Dopo aver letto tutte queste proposte che cambierebbero radicalmente il modo di concepire la pena sorge però un’unica domanda: quanti di questi progetti si trasformeranno in misure concrete?
L’esperienza mi fa essere pessimista, ma parafrasando il titolo di un film, si accettano miracoli.

D. G.

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