Nel commentare quello che è diventato, come giustamente lei lo definisce, il “caso Matei” afferma che “nove anni di carcere per un omicidio rappresentano la vergogna del legislatore italiano” e allora mi rendo conto di quanto bene abbiano lavorato gli imprenditori del “panico morale” riuscendo a condizionare anche le menti più aperte e progressiste.
Proprio in questi giorni raggiungo anch’io il compleanno di nove anni di carcere scontati e le posso assicurare che sono una vera inutile eternità che annienta qualunque volontà, ma il problema non è questo. La cosa grave è secondo me non capire che solo attraverso la fruizione di misure alternative al carcere si può tentare di formare un cittadino con qualche possibilità di reinserimento nella società.
La tesi di laurea in Giurisprudenza che ho discusso lo scorso anno era incentrata sull’incidenza delle misure alternative sui tassi di recidiva, ebbene, semplificando, un detenuto che esce dal carcere a fine pena ritorna a commettere dei reati nel 70% dei casi, mentre quello che usufruisce di un percorso alternativo solo nel 20% dei casi commette nuovi reati.
Il “problema” è che in Italia non esiste la pena di morte e quindi le persone prima o poi escono quindi o reintroduciamo la pena capitale o ci impegniamo nel progettare un percorso detentivo che tenda fin dall’inizio al reinserimento e non sia come oggi meramente università del crimine oltre che afflittivo, inabilitante e infantilizzante (proprio in questi giorni presenteranno gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, ci sono innumerevoli proposte di miglioramento, le può leggere sul sito del Ministero della Giustizia).
Dal dibattito odierno sembra che tutti i detenuti arrivati a meta pena escano in misura alternativa, ma i semiliberi al 12/2014 erano 745 su 53.000 (Rapporto Antigone 2015)!!
Riuscire a vedere concessa una misura alternativa nelle carceri italiane è una vera e propria impresa che sottintende tutta una serie di requisiti che ben pochi soddisfano (ad esempio per ottenere la semilibertà bisogna avere un lavoro esterno, ma il detenuto medio, che ha ben poca dimestichezza con il lavoro, come fa a trovarne uno da dietro le sbarre? O ti aiuta qualche illuminata realtà del terzo settore dalle scarse risorse o niente).
Poi la semilibertà non è la fine della pena, ma solo un modo diverso di scontare il periodo di detenzione che implica, tra le tantissime prescrizioni, di citofonare tutte le sere al carcere chiedendo di poter entrare e non immagina che forza ci voglia.
Certo la sensibilità nei confronti della famiglia della vittima avrebbe voluto che la ragazza non postasse le sue foto sorridenti, ma stiamo comunque parlando di una donna diventata madre a 15 e 18 anni, ex prostituta di strada che molto probabilmente solo ora sta avendo un po’ di equilibrio e serenità nella vita.
Come può capire vivo molto intensamente l’argomento (anche se non ho commesso reati di sangue) e sarei molto contento se venisse a trovarci in carcere per rendersi conto di una realtà molto diversa da quella dipinta.
G. D.