Venerdì, 04 Settembre 2020 16:26

Anche oggi siamo online

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Adesso tutto è diverso per noi che, detenuti in regioni diverse da quelle in cui vivono i propri cari, avevano il piacere di incontrarli solo in rare occasioni. Oggi la distanza non rappresenta più quell’insormontabile minaccia che non ti permetteva di avere rapporti visivi con la propria famiglia.

Conoscevo WhatsApp già da fuori, anche se allora non era però disponibile la videochiamata.
Ovviamente in carcere il tempo sembra cristallizzarsi al giorno dell’arresto e io rimasi li, fino a quando la pandemia non ha portato forme alternative di collegamento con l’esterno anche dentro queste mura.
Provo un po’ di vergogna se penso che doveva essere un virus a cambiare le cose qui dentro e così favorire l’uso della videochiamata con più facilità. Ora è possibile utilizzare WhatsApp (grazie a dei telefonini donati da una compagnia telefonica) in aggiunta ai colloqui visivi (il numero massimo complessivo di colloqui mensili rimane sei, a meno di limitazioni dovute al tipo di reato).
Voglio sperare che le istituzioni non abbiano dovuto imparare da un minuscolo batterio ad essere più veloci, anche se così sembra.

In ogni caso, oggi anche in carcere abbiamo questa possibilità, e per me la sensazione è quella di vivere, anche se per poco tempo, a casa mia.
I colloqui tradizionali si svolgono dentro una sala sita all’interno del carcere dove si è detenuti. Una volta arrivata la famiglia davanti il penitenziario, prima che avvenga l’incontro con il recluso, viene sottoposta a perquisizione personale e, solo dopo questo passaggio si può “abbracciare” il proprio caro.
Invece attraverso questo innovativo sistema tutto ciò viene evitato, e per me la cosa più entusiasmante è stata quella di rivedere dopo tanti anni casa mia, il luogo dove sono cresciuto, dove ho giocato e trascorso i momenti più belli della mia vita.

Non ho visto la mia famiglia per circa un anno, sentivo la loro voce solo attraverso la telefonata ordinaria che si esplica in dieci minuti la settimana. Ricordo che durante la prima videochiamata dopo tutto quel tempo ero in ansia, e anche un po’ curioso di vedere se dopo anni di detenzione, casa mia fosse sempre uguale o se al contrario qualcosa fosse cambiato.
Ma la cosa che più mi ha fatto piacere è stato vedere e sentire i miei settimanalmente, per sei volte al mese. Sicuramente non è lo stesso che vedere di presenza una persona, toccarla, abbracciarla, ed è ovvio che tutto questo attraverso un telefono non può avvenire.
Comunque per me va benissimo anche così.

La cosa importante è che questo sistema di fare le cose non vada a sciamare presto, perché purtroppo spesso con molta facilità qui si costruisce con la velocità di un bradipo mentre si distrugge in tempi record. Spero solo che tutto ciò non avvenga, sia per noi che per le nostre famiglie ormai abituate all’incontro periodico attraverso questa nuova realtà.
In cuor mio so bene che non dovrebbe neanche essere così, e sicuramente tutti sono d’accordo con me relativamente al fatto che un incontro presuppone qualcosa di fisico e reale.
Ma è ovvio che tra il niente e il poco, si accetta il compromesso meno afflittivo e doloroso.

In fondo, parlando anche con altri detenuti, tutti siamo unanimi nell’esprimere un giudizio favorevole ai colloqui di ultima generazione con WhatsApp, perché la cosa che più conta ad oggi e poter condividere un momento, bello o brutto che sia.

G. D. C.

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