Giovedì, 30 Marzo 2023 18:08

C'erano una volta i Tarocchi

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Foto di Viva Luna Studios su Unsplash Foto di Viva Luna Studios su Unsplash

Anni fa prima della riforma del ‘75 dell’Ordinamento penitenziario, il carcere era un luogo dove molte, tante, troppe persone venivano letteralmente stipate in luoghi angusti, sporchi e maleodoranti…

Celle, ecco, allora erano dette celle (lo sono ancora, ma nell’italica visione riformista a metà, oggi si chiamano camere di pernottamento).

Dicevamo, in queste celle si veniva stipati facendo sempre più spazio ai nuovi giunti, i quali ricevevano, dai compagni di sventura, premurose attenzioni in quanto “novità esterne”, dato che non vi era Tv, non vi era radio, se non quella domenicale collegata dal cappellano dell’istituto e limitata alla messa e a qualche emittente locale per qualche canzone.

Poi il silenzio regnava, immaginate questa umanità dolente, questa massa di persone in cameroni con 12, 16, alle volte anche 20 persone. È vero purtroppo, Poggioreale era così. C’erano i turni per mangiare: si allineavano le brande al centro, 3 o quattro e le altre servivano per sedersi. Era una vita semplice, di un’Italia ancora legata a credenze e superstizioni adatte ora a consolare, ora a dare una visione di quello che la persona voleva gli si dicesse. In quei cameroni la vita si suddivideva in varie fasi. Mattino: sveglia, caffè, pulizie, con quegli stracci sporchi e unti da mille lavaggi e strofinamenti su pavimenti che erano di cemento. Orario di pranzo: passeggio e poi il pomeriggio a sperare che qualcuno avesse ricevuto posta dall’esterno.

Poi, sempre durante il pomeriggio, preparazione di una cena serale, di regola la solita ma apprezzata pasta asciutta, sì perché allora il detenuto aveva fame, oggi pensa alla dieta…

Dopo cena, ci si radunava a gruppetti, chi a giocare a carte, chi invece a chiedere cosa il futuro riservasse. C’era chi si improvvisava cartomante. Carte Napoletane di quelle con cui usualmente si gioca a scopa.

Un rito che si svolgeva pressappoco così!
Si mischiavano le carte, le si facevano spaccare con la mano sinistra dicendo che era la mano del cuore. E si iniziava a scegliere due carte alla volta scoprendole, se nelle due carte apparivano figure uguali si ponevano a parte, questa cernita veniva fatta per tre volte, rimischiando le carte rimaste. Alla fine lo scrutatore leggeva le carte in coppia uscite (in fondo il significato di ogni carta). Se non si fosse verificato l’accoppiamento, il cartomante improvvisato, comunicava che nulla era in procinto di accadere. Ovviamente il clou della “ricerca” occulta era nell’interpretazione che ne fuoriusciva, dalle carte che si estraevano e che davano una chiave di lettura all’interessato. Premesso che le carte avevano i semi di valenza: oro, spade, bastone, coppe. A questa simbologia si dava un valore specifico, se fosse uscita la combinazione con gli ori e le coppe, questa avrebbe avuto un risalto positivo rispetto a bastoni e spade.

Detto questo andiamo alla classificazione delle carte.

Legenda: il Re significava un giudice o un avvocato. Il Cavallo un trasferimento momentaneo o definitivo. La Donna poteva significare una figlia, una moglie. Il 7 era l’Ufficio Matricola. Il 6 era la libertà. Il 5 la casa. Il 4 la galera (le 4 mura). Il 3 erano notizie (scritte). Il 2 notizie indirette, vaghe (negli anni i fautori di tale credenza hanno modificato il 2 con le manette, per rappresentare in modo ancor più evocativo il carcere e la restrizione per quello che si poteva e voleva comunicare, ma rimane una forzatura). L’asso infine era portatore di negatività o positività, erano i malocchi ovviamente buoni se c’era quello d’oro cattivi se capitavano spade e bastone.

C’era poi il responso che il cartomante di turno presentava edulcorando, spiegando quelle carte, quei simboli. C’era poi chi, non contentandosi del responso, voleva rifarlo, ma il cartomante imponeva la regola che le carte si esprimessero una volta al giorno.

E questo determinava poi l’umore del carcerato, per quel giorno.

Piccole o grandi gioie immaginate, volute, create, per compensare una vita reale promiscua e squallida, non per le condizioni personali, ma per quelle che si vivevano in un tempo storico che non molti ricordano o vogliono ricordare.

Questo era, ora è memoria storica data a pochi.

Il tempo è galantuomo, pone un valore e un dis-valore alle cose che ognuno sa attribuire ad esso e alle vicende personali, che comunque fanno parte della storia dell’uomo in ogni epoca con nomi diversi. Antropologia del passato per simboli e retaggi ancestrali, sogni dei poveri per i poveri.  L’importante era dare una speranza.

Redazione

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