Cos’è la felicita? Non so dare una definizione esatta a questo sentimento, perché é difficile da capire quando esattamente uno è felice in un luogo del genere. Le sensazioni di quel benessere che può riavvicinarci a quel sentimento sono poche, perché il tempo e il senso delle cose perdute è un percorso, un’analisi della coscienza. È come l’evoluzione di una coscienza che cerca in tutti modi di rimediare agli errori che si sono fatti nella vita, anche se a volte è impossibile farlo, ma si spera che il tempo ci dia l’opportunità di correggere quella direzione, per poter dirigersi verso quella giusta, dove una persona può fare almeno un po’ di pace con se stessa, e sentirsi per un secondo sollevati.
Nel mio caso quella sensazione arriva il giorno del colloquio o quando riesco ad aiutare una persona nonostante i limiti che si trovano in carcere.
Essere felici è complicato, perché il tuo tempo e controllato e negato da altri, così come l’affetto, forse quello che manca di più dietro le sbarre. Qui coltivare l’affetto con i propri familiari è difficile, l’unica liberta che ti puoi permettere è quella di progettare il tuo futuro nei migliori dei modi, per quello che il sistema ti permette e ti può dare a livello di istruzione, lavoro e di opportunità sportive e culturali.
Sto bene, ma si potrebbe stare ancora meglio se le istituzioni avessero un reale interesse a cambiare questa realtà drammatica, basterebbe attenersi all’art. 1 co. dell’O.P. “per il detenuto deve essere iniziato un trattamento rieducativo attraverso i contatti con l’ambiente esterno per il reinserimento sociale degli stessi, anche se il trattamento è effettuato secondo un criterio di individualizzazione.”
M. A. P.