Il punto è che sarà per una questione psicologica o per chissà quale altro motivo, fatto sta che capita spesso, di dover fare un lavoro mentale piuttosto arduo quando si tratta di profumi, o meglio di odori.
Spesso ricollego a essi qualsiasi pensiero bello, come quando sono ai passeggi e magari arriva quell’odore di erba fresca che in un batter d’occhio riesce a riportarmi indietro nel tempo e più specificatamente a casa mia, circondata da quel giardino che io tanto amavo e che giornalmente curavo.
Lo stesso mi succede quando dalla cucina del carcere arrivano attraversando lunghi e angusti corridoi, i profumi delle pietanze che gli addetti ai lavori cucinano per noi detenuti.
Non so bene se gli odori che io sento e il ricordo che ad essi associo corrispondano realmente a ciò che in effetti i cuochi del carcere stanno cucinando anzi, secondo me è solo il frutto del mio pensiero, un lavoro di mente di tutto rispetto e che riesce a portarmi a casa mia anche se per poco tempo e in maniera astratta.
In fondo è solamente un po’ di profumo, mascherato e contraffatto successivamente dal nostro corpo che ben conosce le nostre debolezze, per essere adattato alle nostre esigenze, improcrastinabili e fisiologiche di un ritorno a casa, tra i nostri cari, con pentoloni e forni accesi per festeggiare chissà quale compleanno.
Sì, lo ammetto, ci sono odori che ti rimangono addosso e che riescono a farti rivivere cose passate.
Quando apro gli occhi e vedo il carrello, capisco bene in quel momento che la mia teoria riguardo agli odori non è poi cosi fantascientifica, ma il risultato di un lavoro che parte dal subconscio e che senza volerlo mi fa sentire e arrivare dove il mio cuore desidera di essere.
Il mio può essere definito un viaggio al contrario fatto con poco, forse con un po’ d'immaginazione e ovviamente con l’immancabile piastra accesa con cui i detenuti lavoranti in cucina si danno da fare.
G. D. C.