Un clima di distacco dal concreto in cui abbiamo conoscenza degli avvenimenti del fuori solo attraverso i nostri legami empatici e dove l’impatto delle notizie dal mondo esterno non è sempre facile da mediare. Molti diversamente liberi seguono il tg, è uno dei pochi contatti che permettono di essere un po’meno estranei, meno esclusi, un legame con un mondo che se da un lato fa soffrire nel vederlo, comunque va avanti anche senza di loro, dall’altro sempre da chi è recluso non vuole essere dimenticato.
Così ci si riunisce attorno ai notiziari, ai televisori e il momento quotidiano dell’informazione diviene un appuntamento fisso di ritrovo per noi detenuti, un’occasione per parlare e stare insieme, a volte anche più volte al giorno. Per alcuni questa diviene progressivamente quasi una mania, un’ossessione, sono sicuro che molti di noi avranno conosciuto almeno un detenuto con la fissazione di seguire tutti i telegiornali della giornata, i più svariati programmi di approfondimento politico e di cronaca, o che tengono il televisore perennemente sintonizzato sui canonici Sky Tg o Tgcom 24.
Questa particolare categoria di detenuto spesso coincide e si sovrappone a un altro archetipo delle sezioni, il fanatico della riforma giudiziaria, che a ogni minima notizia che possa riguardare anche lontanamente il carcere e la situazione detentiva inizia a annunciare a gran voce l’avvento del fantomatico Indulto, causando strida e clamore tra tutte le celle della sezione. Particolare occhio ovviamente tra i detenuti viene prestato alle notizie della cronaca nera, sequestri e arresti con commenti mirati sulle azioni più clamorose e sui criminali più spregiudicati, con segnalazione sull’esperienza di galera che spetterà ai futuri compagni in base al reato commesso. Spesso i commenti sono comunque molto superficiali e qualunquisti, davanti al televisore tutti ci trasformiamo in “esperti”, profondi conoscitori e critici della situazione sociale e economica non solo italiana o europea, ma addirittura mondiale, ognuno si sente legittimato a esprimere giudizi e ad elargire le proprie perle di saggezza.
Ma il peso che i media conferiscono alle notizie ha sempre un effetto forte e riscontrabile sui detenuti, ed è comune che questo modo semplicista e stereotipato che molte testate hanno di raccontare certi avvenimenti, suscitando e ricercando clamore e sensazionalismo, possa avere ripercussioni anche forti su chi vive una condizione faticosa come la reclusione, favorendo l’alimentarsi di tensioni, dissapori e dei classici stereotipi e luoghi comuni che accompagnano gli argomenti principali (i politici rubano, il Covid è una scusa per rubarci i soldi, gli immigrati rubano, come i politici ma un po’ meno e sono tutti delinquenti, e così via). Trasformando l’atmosfera, con queste chiacchiere, in quella classica da bar.
Ci sono diverse situazioni in cui i media creano allarmismi, che in una situazione di pressione costante come quella del contesto carcerario possono provocare situazioni di ancora più accentuato disagio.
Come ad esempio durante l’emergenza sanitaria per il Covid, dove l’informazione e la visibilità mediatica data alla pandemia hanno portato chi l’ha vissuto in carcere a trovarsi in una situazione di notevole disorganizzazione, con misure di contenimento spesso affrettate e eseguite in modo caotico. Un’informazione a volte non sempre approfondita o comunicata in modo adeguato che ha aumentato notevolmente lo stato di disagio nel gestire il proprio spazio vitale, alzando il livello di tensione tra detenuti costretti già a vivere in perenne e forzata convivenza in un ambiente ristretto e sovraffollato.
Il telegiornale è comunque, in carcere, un momento a cui nessuno si sente di poter rinunciare ed a cui tutti teniamo e ci sentiamo legati, non solo per il contatto che ancora ci permette di avere con l’esterno ma anche, e forse soprattutto, perché è un momento che unisce noi che condividiamo queste mura, un’occasione di confronto e dibattito, che almeno per un po’, con la mente e col cuore ci trasporta via di qua.
Redazione