Prima parte in cui gli interventi succedutisi hanno evidenziato il carattere di eccellenza di un servizio “unico in Italia” e la vocazione di “città laboratorio” di Torino, a conferma di quanto dichiarato da Emilia Rossi in apertura. Membro del collegio Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale Emilia Rossi, dopo aver presentato competenze e prerogative della figura del Garante ha sottolineato come i temi della migrazione stiano sempre più diventando centrali nelle attività dell’Ufficio, in quanto organo indipendente di monitoraggio sui rimpatri forzati. Lodando l’esperienza della “Clinica del rifugiato” perché in tema di “protezione umanitaria, lo straniero incontra numerose difficoltà, a partire dall’accesso fino alla comprensione delle informazioni sui propri diritti. Difficoltà acuite se la persona è detenuta”. Complessità numerose e di ampio spettro ha ricordato Monica Gallo, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Città di Torino, promotrice della giornata e della convenzione. Aprendo in questo modo alle riflessioni sulla “riconnessione tra dentro e fuori” e sulla “centralità di tali questioni per una città come Torino” dell’Assessore al Decentramento e Periferie, Politiche Giovanili e di Integrazione del Comune di Torino Marco Giusta, che citando una frase di un’operatrice attiva in interventi sociali nel quartiere ZEN di Palermo “Il problema di sicurezza è uno solo. È un problema di diritti umani”, ha esplicitato “la necessità di dare risposte non solo globali, ma anche locali”.
Diritti e risposte che “possono essere sviluppate attraverso percorsi di accompagnamento e sostegno delle persone detenute a partire dalla Clinica del Rifugiati” nelle parole di Domenico Minervini, Direttore della Casa Circondariale di Torino “Lorusso e Cutugno”. “Un dovere morale, che deve tramutarsi in interventi concreti come l’istituzione della Scuola di accoglienza presso il carcere di Torino, o l’accordo del dicembre 2014 con la Questura che permette l’identificazione subito dopo la convalida dell’arresto”.
Una “frontiera dei diritti il percorso sinora sperimentato a Torino, un modello da valorizzare e promuovere” a ribadirlo è Bruno Mellano, Garante regionale, per sfatare pregiudizi e luoghi comuni inerenti l’immigrazione, come ben sintetizzato da Giuseppe Mastruzzo Direttore dell’International University College of Turin, “solo 150 anni fa il diritto alla mobilità era visto come un fattore strutturale positivo e non emergenziale come in quest’ultimo periodo. Cristallizzare logiche di questo tipo significa alimentare l’idea di un non diritto alla mobilità”.
A entrare nello specifico della convenzione e delle attività della Clinica del Rifugiato sono stati Maurizio Veglio (ASGI), illustrando le procedure di richiesta di asilo, in particolare con un focus sul carcere, ed alcuni studenti e avvocati che vi hanno preso parte. Prima che si aprisse il dibattito in collaborazione con il corpo della Polizia Penitenziaria presso la C.C. “Lorusso e Cutugno”, su eventuali criticità e nodi da sciogliere quanto prima. Ad esempio la necessità di concordare gli interventi con la Questura per i richiedenti ritenuti idonei a fare richiesta di protezione internazionale. Interessante l’analisi sul perché della scelta del modello e del target a cui indirizzare il servizio. “Di origine anglosassone la clinica legale è un un modello didattico che unisce esigenze formative e sociali. Da un lato promuovere per gli studenti interventi concreti, dall’altro intervenire laddove siano presenti fasce vulnerabili di popolazione non raggiunte dallo stato”. In questo caso ha proseguito Veglio il carcere ed i possibili richiedenti protezione internazionale detenuti rappresentano un terreno per provare anche ad effettuare un’operazione culturale combattendo pregiudizi e falsi luoghi comuni “in generale l’idea comune del richiedente asilo come ‘approfittatore’ non collima con le statistiche, che evidenziamo come 1 su 2 richiedenti ottenga il riconoscimento effettivo”. Passando all’operatività del servizio, la “Clinica del Rifugiato” nell’anno appena trascorso dopo il primo colloquio di un esperto con la persona richiedente, segnalata dall’autorità di Polizia Penitenziaria, per stabilire l’oggettività della richiesta, ha valutato complessivamente 8 casi, prendendone in carico 4.
G. B.