L’incontro, che si è tenuto nella mattinata e per lo spazio di due ore ha rappresentato un interessante dialogo tra i detenuti e lo scrittore britannico, classe ‘59, che ha ripercorso le tappe fondamentali della sua vita prima di approdare al mestiere di scrivere e toccando tematiche quali la funzione introspettiva e auto psicanalitica della scrittura come strumento per l’elaborazione di eventi difficili, ma anche il senso dello scrivere inteso in modo più ampio quale mezzo per trasmettere al pubblico sensazioni ed emozioni libere, raccontando la realtà senza filtri o sconti.
“Ho fatto una miriade di lavori prima di diventare scrittore”, comincia a raccontare Brooks riandando indietro con i ricordi, “dal controllore all’impiegato alle poste, dal benzinaio al venditore di hot dog, coltivando dentro di me il sogno di una carriera come musicista punk”, tema che, dichiara, ricorrerà nel suo Naked, “volevo chiamarlo Wasted, ma era da poco uscito un libro con lo stesso titolo e così alla fine della stesura ho dovuto cambiare il titolo al libro, Wasted doveva essere il nome della band in cui suonava il protagonista, così l’ho cambiato in Naked, che pensavo esprimesse altrettanto bene l’estetica punk della band, non avevo pensato che quando la gente avrebbe cercato Kevin Brooks Naked su internet sarebbe stata indirizzata su un altro tipo di contenuti” dice ridendo tra sé, “ho abbandonato l’idea di darmi alla musica crescendo, ma la volontà di dedicarmi all’arte c’è sempre stata, anche se non immaginavo che sarei finito a scrivere libri per ragazzi”, partendo da questa nota ironica Brooks racconta come, nel corso della sua vita sia sempre stato insoddisfatto da quanto faceva in ambito lavorativo prima di dedicarsi totalmente alla scrittura, ma anche le difficoltà derivanti dal vivere pubblicando libri, il pubblico s’interessa molto a quest’argomento e Kevin non si fa pregare per scendere nel dettaglio: “tolti gli anticipi non si guadagna poi molto, se il prezzo di copertina di un mio libro è, mettiamo, 10€, di ogni copia io guadagno circa 10 centesimi, i diritti per il cinema e gli scripts rendono molto di più, per questo cerco di diversificare le mie produzioni, ho avuto periodi in cui ero quasi sul lastrico”, all’ironica domanda di uno dei presenti, che chiede: “ma se non rende scrivere libri, e non rende neppure fare illeciti, allora come si fa a guadagnare?” risponde sornione: “potresti scrivere un libro delle tue memorie, i libri crime vanno sempre, vendono molto meglio dei miei.”
Ma la discussione verte anche su tematiche serie quando l’autore afferma di aver sofferto sin da giovane di disturbi dell’umore e di episodi depressivi, una dimensione emotiva oscura che l’ha portato anche ad avere problemi con l’alcol e l’uso di farmaci antidolorifici. Un lato della sua persona con il quale non era mai riuscito a venire in contatto davvero prima di riuscire a trasportare i propri mostri sulla pagina scritta, “non è che scrivere ti risolva i problemi, ma ti aiuta a capirli meglio”, dice, e per questo i suoi protagonisti sono sempre ragazzi che attraversano il difficile momento dell’adolescenza, costellato di ansie e dubbi per il futuro, immersi in atmosfere dai toni dark, “cerco di mettere nel libro un’impressione più che un messaggio, credo sarebbe arrogante pretendere di dire a una persona: questa cosa è così e va vista in questo modo. Nei miei libri cerco di dare forma al mio vissuto personale e interiore”, vissuto che non sempre è ben interpretato dal pubblico, per Bad Castro dichiara infatti: “è la storia di un ragazzino aggressivo, componente di una gang di Londra, io non ho mai espresso riferimenti di genere e nel libro non leggi mai nero o bianco in riferimento a un personaggio, ma c’è una fascia di critica che di questi tempi afferma che non si possa scrivere di cose che non riguardino il proprio vissuto biografico, io lo trovo sconcertante, come può esistere la narrativa se si racconta solo ciò che si è realmente vissuto?”. O come nel caso dell’uscita del suo Bunker Diary, che racconta la storia di ragazzi rapiti e sequestrati in una ignota location e che viene considerato sulle prime “disgustoso” e troppo crudo, con commenti del tipo “non lo farei mai leggere ai miei figli”, con shock da parte dell’autore che non si aspettava simili giudizi negativi per un’opera di fantasia, anche se, commenta compiaciuto, il libro è poi diventato uno dei più letti e amati dai fan.
L’urgenza comunicativa e la volontà di raccontarsi emergono dal dialogo con lo scrittore, che si svolge quasi interamente in inglese tra i detenuti studenti del Liceo Giulio e del Polo universitario presenti, anche se coadiuvato dalla mediatrice. La sessione si conclude con una firma di autografi da parte dell’autore, una nuova pagina da aggiungere al diario della storia del nostro bunker, qui nel carcere di Torino.
Redazione
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