In una partita di calcio i saluti con gli avversari finiscono al triplice fischio del direttore di gara e poi ognuno va per la sua strada. Nel rugby non è cosi, ci sono i saluti di gruppo insieme agli avversari. Si torna negli spogliatoi e dopo la doccia inizia il terzo tempo. Normalmente “fuori” si prenota un ristorante, nel caso della Drola, l’appuntamento è in una stanza messa a disposizione dall’Istituto “Lorusso e Cutugno” di Torino, dove noi stessi prepariamo la tavolata per onorare gli ospiti.
Un’occasione per parlare con i giocatori dell’altra squadra senza timore, perché una volta seduti attorno ad un tavolo diventiamo un’unica grande famiglia. Non esistono più gli avversari, gli argomenti sono tanti: la partita, i placcaggi, le situazioni di gioco che sono successe durante il match. Naturalmente si sprecano i complimenti reciproci e ci si prende in giro. Si ride e scherza con gli ospiti come se ci si conoscesse da una vita. In quell’istante dimentichiamo che l’ora precedente erano i nostri “nemici” ed in campo indossavano una maglietta diversa dalla nostra. Le botte e le “legnate” date e prese diventano un ricordo.
Questi sono momenti che ci fanno sentire liberi, dimentichiamo il nostro passato. I nostri errori. Un modo “per evadere”, per sentirsi liberi pur essendo in carcere.
Durante il terzo tempo “dentro” ci sono ragazzi curiosi e spesso mi fanno domande sulla vita carceraria e su come passo le giornate. Da quanto tempo sono detenuto? Da quanto tempo gioco a rugby ecc…?
Personalmente cerco di spiegare che la squadra è ristretta in una sezione a custodia attenuata, differente da una sezione normale (dove i contatti con l’esterno sono minori). Qui quasi tutte le settimane si ha contatto con il mondo esterno, perlomeno con le squadre di rugby, a volte con giornalisti o persone famose legate al mondo del rugby o politico. Perché il terzo tempo coinvolge tutti gli ospiti che vengono qui in visita, siano essi giocatori o persone VIP.
Un “tempo” utile e costruttivo sia per noi, sia per il mondo esterno, che forse può fare riflettere sul fatto che alcuni di noi, se in passato avessero praticato sport ora potrebbero vivere un’altra realtà.
E. A.