Prepariamo tutto l’equipaggiamento necessario per la partita, paradenti, para spalle, caschetto, tutti compatti come una squadra dovrebbe essere, scendiamo per le scale della sezione, attraversando il corridoio del padiglione fino a giungere alla porta d'uscita che ci conduce verso il campo da gioco.
Sui volti dei ragazzi de La Drola si legge la tensione e l’adrenalina che scaturisce da questa sfida.
Entriamo negli spogliatoi, dove è padrone il silenzio, un mix di emozioni attraversa le nostre menti, concentrazione, determinazione, paura. Il quel momento l’allenatore ci legge su un taccuino la formazione e il capitano è pronto per la consegna delle maglie. Chi inizierà la partita da titolare avrà ottenuto una maggiore responsabilità di chi è a disposizione in panchina.
Subito dopo aver celebrato il rito della formazione, la voce autorevole dell’allenatore ci incita a portare a casa la vittoria, non c’è spazio, in quegli attimi per poter pensare ad altra cosa, usciamo dagli spogliatoi, l’unico rumore a far da ritmo ai nostri pensieri sono i tacchetti delle scarpe. Rimbalzano con una cadenza martellante, raggiungiamo il terreno di gioco e allo stesso tempo avvistiamo gli avversari che si stanno preparando, raggiungiamo la nostra zona di campo e iniziamo la fase preparatoria alla partita con dei giri di campo, nel mentre osserviamo i nostri avversari con decisione, proprio per fargli capire che quella partita la porteremo a casa noi.
L’arbitro spezza il ritmo, chiamandoci a sé per il riconoscimento, terminata l’adunata i due capitani tirano a sorte con una monetina il possesso della palla, oppure la scelta della zona di campo, ovviamente da padroni di casa vinciamo il campo. I trenta giocatori si schierano per il calcio d’inizio, fa caldo, il terreno sotto i nostri piedi sembra tremare, la tensione sale inesorabile, fischio dell’arbitro, palla calciata molto alta nella nostra zona di campo. Recupero la palla al volo, in un attimo vedo piombarmi addosso due avversari che in quel momento potevano sembrare due tori imbizzarriti, il placcaggio è durissimo, in una frazione di secondo mi trovo catapultato con la schiena sul terreno di gioco, ed ecco l’arrivo tempestivo dei miei compagni di squadra a proteggere il possesso della palla.
In quel momento mi trovavo in una situazione d’immobilità, la sensazione era come se fossi immerso con il corpo completamente nell’acqua. Di colpo il gioco riprende, in un attimo mi risollevo, i miei compagni di squadra avevano guadagnato un bel fazzoletto di terreno. In quei frangenti vedere tanti giocatori ammassati sul pallone ti da come la sensazione di vedere un branco di lupi che stanno andando ad agguantare una preda.
Ormai la meta era vicina, bastava un ultimo sforzo, la palla esce fuori dal terreno a circa cinque metri dall’area di meta, rimessa laterale a nostro favore, il capitano raduna ad alta voce i giocatori di mischia, dicendogli: “ragazzi questa e un’occasione da non perdere”... palla in cassaforte e via verso la meta. Dunque, palla in cassaforte significa che il nostro lanciatore doveva eseguire un lancio perfetto al nostro saltatore, e che quindi una volta conquistata la palla si doveva formare una mole, e tutti i giocatori dovevano andare in pressione e annientare la difesa avversaria.
Il saltatore conquista palla, in un attimo si crea un vortice di persone ammassate l’una contro l’altra, una battaglia di trincea durissima, tutti piegati con il busto in avanti a spingere con tutta la forza di cui disponevamo in corpo, centimetro dopo centimetro la mole avanzava, gli avversari cominciavano a cedere campo, il portatore di palla sorretto dalla spinta dei compagni raggiunge l’area di meta e con un tuffo schiaccia la palla in meta.
Lo sforzo della squadra era stato a dir poco fantastico, urla di gioia coprivano assordanti il perimetro di gioco. Ce l’avevamo fatta a dimostrare che eravamo i più forti.
L’arbitro fischia la fine della partita, scatenando un urlo liberatorio in tutti noi, avevamo portato a casa una meritata vittoria.
La strada del ritorno verso il Padiglione di appartenenza si fa pesante visto il notevole sforzo prodotto durante la partita, i pensieri fluttuano come barche ormeggiate in porto, sporchi di terra si pensa alle ferite, ai dolori che attraversano il corpo, tenendo per sé questo momento di vera libertà, perché il Rugby ti concede per ottanta minuti il privilegio di evadere per un po’ da quella realtà chiamata carcere.
Giungiamo finalmente all’ingresso del padiglione, la stanchezza si fa sentire, gli acciacchi si fanno sentire, l’unico pensiero in quel momento è andare a riscaldarsi con una bella doccia bollente, e poi sdraiarsi sul letto e cercare di riposare.
L’entusiasmo è alle stelle dopo aver vinto una partita, la sensazione ti fa stare bene fino a quando non si materializza, il contatto visivo delle sbarre.
Ti fa ripiombare nuovamente alla realtà vera e cruda del carcere.
Entro in cella, mi sdraio sfinito dalla stanchezza soddisfatto con la consapevolezza che eravamo usciti vincitori dalla partita, ma subito dopo riemergono i pensieri della galera, purtroppo quei momenti di spensieratezza erano durati troppo poco, avrei voluto durassero di più.
Redazione