Martedì, 22 Dicembre 2020 17:32

Pronti a partire verso un'altra casa

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Photo by Daniel von Appen on Unsplash Photo by Daniel von Appen on Unsplash

Un mercoledì sera guardando la tv verso le ore 21:00 vidi aprire il blindo. L’assistente si presentò dicendomi che domani sarei stato “partente”.

Incredulo gli chiesi se scherzasse e lui rispose di no.

Gli domandai se sapeva in quale carcere sarei andato, la sua risposta fu immediata.

- Andrai qui vicino, aggiungendo dopo un lungo respiro.

- Mi dispiace della tua partenza, ma continua così …

Intendeva il mio comportamento, finendo con questa frase: Un giorno raccoglierai i frutti.

Non capivo se era vero il suo dispiacere, o solo una frase detta per la circostanza, ma a distanza di anni ora ho capito che gli dispiaceva veramente, ero uno dei tanti detenuti, ma con delle caratteristiche diverse, un ragazzo giovane, alle prime esperienze con in il carcere, che tutto sommato aveva un buon comportamento visto il caos che c’era all’interno di quell’istituto.

Nel preparare le borse non sapevo che cosa prendere con me a parte gli indumenti personali, nel pensare anche al mio concellino presi soltanto un fornello e la caffettiera, tutto il resto lo lasciai a lui, la spesa e vari utensili da cucina. Fatte le borse, mi misi a dormire ma il sonno non tardava a venire, allora i pensieri presero sopravvento con domande a cui non avevo risposta, ma che continuavano a frullare nella mia testa, ad esempio su come sarebbe stato il nuovo carcere? Che ambiente avrei trovato? Se avrebbero concesso i benefici? Se ci fossero state attività per passare il tempo in un modo diverso?

Tante domande a cui non ci sarebbe stata risposta fino a quando non ci avrei messo piede.

Il mattino seguente la cella si aprì, prima di scendere feci il giro della sezione per salutare i miei compagni, mentre stringevo le mani di cella in cella, tanti di loro si presentavano con qualcosa in mano da regalarmi, ero commosso nel vedere che ognuno cercava di consolarmi in vista del nuovo viaggio.

Scesi in Matricola, firmai l’estratto conto e il modulo di riconoscimento dei miei effetti personali.

Preparai i polsi per le manette.

Prima che la porta del cellulare si aprisse presi le borse per metterle sopra, ma le manette resero impossibile quest’azione, cosi un assistente si offrì ad aiutarmi, prendendo le due borse rimaste.

Dentro il cellulare, notai che c’era un altro detenuto, lo conoscevo di vista, era ristretto in un'altra sezione.

Lo salutai, lui ricambiando il saluto mi chiese se sapevo dove andavo, gli risposi di no, il furgone innestò la prima e si mosse. II tempo passava parlando del più e del meno, quando ad un certo punto il furgone si fermò per fare rifornimento. Chiesi se eravamo arrivati e uno degli assistenti mi rispose che stavano facendo il pieno, aggiungendo che mancava un’ora all’arrivo.

Dopo circa un’ora il cellulare si fermò di nuovo e chiesi per la seconda volta all’assistente se eravamo arrivati. Stavolta mi rispose di si, in fretta cercai di guardare fuori dal finestrino per vedere la struttura del carcere e capire se si trattasse di un carcere grande o piccolo, ma niente, il cancello maestoso non lasciava intravedere niente. Dopo un paio di minuti il mezzo si mette in moto incamminandosi verso l’entrata che portava nei pressi della Matricola.

Tolte le manette prima di scendere dal furgone, afferrai le borse per scaricarle.

Accompagnato da sei assistenti mi inoltrai verso la Matricola, qui un’assistente mi invitò a mettermi in posa per le foto segnaletiche. Finito il “book fotografico” mi aspettava l’apparecchio del prelievo delle impronte e le varie domande di identificazione.

Finito il rituale mi portarono al Casellario per la perquisizione delle borse e quella corporale, dove mi vennero sequestrati alcuni oggetti che non erano consentiti all’interno.

La prassi era finita, firmai il modulo del conto corrente e degli effetti personali.

All’uscita del Casellario c’era un carrello che mi aspettava con le mie borse.

Un assistente mi invitò a seguirlo, nella nuova sezione.

Arrivato in sezione, scaricai il carrello e le borse nella cella, dove un signore di mezza età si prestò ad aiutarmi dicendomi che lui era il mio nuovo concellino. Fatte le presentazioni mi misi a sistemare la mia roba nell’armadio.

Mentre sistemavo vidi arrivare uno ad uno caffè e biscotti e bevande, che riempirono il tavolino della cella. Anche se mi opponevo non c’era verso, il carcere è un posto isolato, ma al suo interno i reclusi hanno uno spiccato senso di solidarietà, qui sviluppano questo sentimento o quanto meno si accorgono di possederlo. Finito di sistemare feci una doccia, per poi uscire in sezione a fare conoscenza con gli altri e allo stesso momento capire come funzionava il posto.

Il carcere era molto grande e all’interno ospitava varie tipologie di detenuti, ma questo non mi impedì di frequentare la scuola per impegnare il mio tempo e conseguire un titolo di studio. All’interno o meglio dire nel blocco dove ero non c’erano tante attività, perché quel blocco era dedicato ai detenuti di alta sicurezza e ai nuovi arrivi, e io ero uno dei nuovi arrivati in osservazione, almeno così mi disse l’educatore, aggiungendo che la mia permanenza sarebbe stata abbastanza lunga in quella sezione.

Le difficoltà che spesso s’incontrano durante le “traduzioni”, i trasferimenti, di solito sono legate alle varie autorizzazioni che si avevano nel precedente carcere, i colloqui visivi, le telefonate ordinarie o le attività trattamentali sono interrotte. Alcune delle abitudini che si avevano subiscono dei cambiamenti o peggio ancora si cancellano per motivi di spazio e regole che variano da istituto a istituto. Gli effetti non sono trascurabili non solo sulla persona, ma anche sul suo percorso fino ad allora intrapreso.

Un esempio riguarda il colloquio visivo. Se si è trasferiti lontano dal luogo di residenza dei propri familiari, questi potrebbero essere impossibilitati a raggiungere il carcere, provocando effetti devastanti sulla stabilità psicofisica del recluso e in alcuni casi un netto peggioramento del suo comportamento.

Cambi di ambiente a volte possono produrre un isolamento della stessa persona nei confronti degli altri, portandolo a una profonda depressione, meccanismi che s’innescano mettendo a repentaglio o peggio ancora aggravando di per se una situazione già drammatica.

Bisogna inoltre ri-adattarsi a nuove regole: gli orari dei colloqui, cosa è permesso nei pacchi ai colloqui, le modalità per la spesa, gli orari dell’aria e della palestra e delle attività ricreative.

Un piccolo fattore positivo, a volte, può essere il diverso scorrere del tempo, in un nuovo carcere trascorre più velocemente, nei primi sei mesi non si ha la stessa percezione del tempo e della detenzione.

Ci sono svariati motivi per un trasferimento, uno dei più usati è il trasferimento per sovraffollamento, ma si possono avere “traduzioni” per avvicinarsi alla famiglia e poter sostenere i colloqui, oppure per motivi di sicurezza.

Qualsiasi sia il motivo “sai cosa lasci ma non sai cosa trovi” e intraprendere in nuovo percorso potrebbe rivelarsi positivo o controproducente, dal punto di vista degli obbiettivi di reinserimento della persona detenuta.

Redazione

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