Il Rap si apre a sogni e segreti in un carcere è stato un laboratorio di scrittura di genere rap organizzato dalle Biblioteche Civiche di Torino. Il risultato finale degli incontri è stato la creazione di un pezzo, “Pelle tosta” ed un videoclip di accompagnamento.
Il tutto diviene spunto per una riflessione su quanto la creatività possa aiutare a incanalare in maniera costruttiva la rabbia, la frustrazione e la tentazione di fare del male agli altri e, più spesso, a se stessi, da parte delle giovani generazioni, che sempre più spesso si affacciano e approcciano a questo genere, talune volte in modo errato, con messaggi “violenti”.
Francesco “Kento”, già autore di “Barre, Rap, sogni e segreti in un carcere minorile” per minimum fax, sia nel volume sia con il laboratorio torinese indica che è anche lì, in questi contesti, che si deve operare, stimolando una creatività positiva nei giovani, insegnando come si scrivono strofe e ritornelli ai giovani detenuti. Nei suoi laboratori stimola a incanalare nella creatività la rabbia e la frustrazione. “Pelle tosta” è scritto e narrato, nel ritmo bitonale del Rap, da e con i detenuti della Casa Circondariale "Lorusso e Cutugno" di Torino.
Da questa “sfida” lanciata senza pretesa è nato un connubio, identificativo con un contesto più grande a livello nazionale, con la “fiction” Mare fuori, giunta alla terza edizione e trasmessa in questi giorni sulle reti nazionali. Realtà parallele, distanti solo nel luogo geografico in cui si svolgono, dalle periferie delle metropoli del nord alla metropoli del Sud, problematiche diverse, che però “arrangiano” le stesse storie di emarginazione.
La fiction Mare fuori narra un'aria… rap… “mare fuori mare fuori” nel ritornello della sigla. Ma racconta anche il mondo del carcere vissuto, rappresentato in quello realmente esistente di Nisida, Napoli.
Nella fiction e nel testo di Pelle tosta si rappresenta un mondo attento a queste tematiche, anche nelle sue diversità, in quanto qui a Torino è dato dai giovani adulti, comunque maggiori dell’età del cosiddetto “giudizio”, mentre Mare fuori è ambientato in un Istituto per minori degli anni diciotto.
Il messaggio che viene dato è quello che gli operatori responsabili all’interno dei rispettivi Istituti, sia quello torinese, nella realtà, che quello “di fantasia” della serie televisiva, hanno come visione della pena la rieducazione. Differente da quel messaggio che anni or sono veniva rappresentato in pellicole degli anni ‘90, come ad esempio “Ragazzi fuori”.
Mare fuori racconta mille storie di giovani emarginati che vivono esperienze più grandi di loro, in un mondo esterno che li ha fatti crescere troppo in fretta. Gli educatori dell’Istituzione fanno trasparire un volto umano e di tolleranza nel proprio operare. Questo è un qualcosa di positivo, perché non è più quello spaccato interno di una società nella società, l’anello debole del sociale.
Il carcere ha trovato, negli ultimi trent’anni, degli osservatori e operatori interni attenti, che hanno quel potere decisionale per poter provare a cambiare il modello dall’interno.
Queste iniziative nel passato non sarebbero state neanche immaginabili.
Istituti come quello torinese, quello milanese di Bollate, e quello rappresentato in Mare fuori indicano una volontà di cambiare in positivo quel mondo che necessita di essere cambiato, con la comprensione, con il riconoscimento delle problematiche da affrontare, e perché no con la musica.
Una musica che divenga testimonianza del disagio, non esaltazione di violenza, come auto-affermazione.
I progetti qui narrati sono il pensiero positivo di quello che può essere posto in essere, in un luogo di emarginazione, da parte di chi è stato emarginato. È bene che vengano altri momenti che raccontino l’anima di chi soffre, non è un eufemismo il dire che in carcere si soffre. È già importante poter pensare che possano esserci pensieri che vengono messi a nudo, ancor di più se evocati in musica.
Redazione