Tre domande al Direttore della Casa Circondariale di Torino
Quanto è importante per la Casa circondariale di Torino l’apertura di questo ristorante?
Dott. Domenico Minervini (Direttore Casa circondariale “Lorusso e Cutugno”): “Questo è un ulteriore progetto trattamentale che offriamo ai detenuti, ma l’elemento essenziale è rappresentato dal favorire un contatto maggiore tra la società civile ed il carcere. Questo è il nostro obbiettivo. Molte delle nostre iniziative seguono questo filo conduttore. Sono già molti i cittadini che giornalmente entrano in carcere, ma la sfida ora è permettere che vi entrino con una modalità diversa, facendo capire alla cittadinanza la qualità del lavoro che viene fatto in carcere”.
Volete, ci pare di capire, non tanto che la cittadinanza entri per fare beneficenza, quanto perché gli viene fornito un servizio di qualità.
Dott. Domenico Minervini: “Questo è quello che lega tutte le nostre attività produttive, perché diversamente sul mercato non si sopravvive. È chiaro che puntiamo sulla qualità, senza di essa inevitabilmente si crolla e i prodotti rimangono invenduti. Anche nel caso di Freedhome, lo store dei prodotti carcerari in via Milano 2/c, di cui l’apertura è vicina - giovedì 27 ottobre 2016 ore 18:00 - a questo puntiamo. Qui peraltro sappiamo che i prodotti sono già di qualità e sperimentati, essendo presenti articoli provenienti da più carceri e da più cooperative”.
Quindi una qualità garantita anche dal percorso formativo che compiono le persone detenute?
Dott. Domenico Minervini: “La formazione professionale è la base per raggiungerla. Quando cito i 230 detenuti impiegati dall’Amministrazione penitenziaria impiegati nei lavori domestici, devo specificare che solo alcuni sono professionalizzanti, altri servono per far funzionare la macchina. Mentre i lavori alle dipendenze delle cooperative sono essenzialmente professionalizzanti e forniscono maggiori strumenti per l’uscita”.
[intervista a cura di Paolo Girola]
La parola al Garante regionale dei detenuti (Bruno Mellano), alla Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Torino (Monica Cristina Gallo) e la testimonianza di F. impiegato presso il ristorante.
Per Bruno Mellano, Garante regionale dei detenuti, l’apertura di "Liberamensa, Ristorante in carcere" rappresenta una ricerca dell’eccellenza lodevole ed un’occasione da non perdere, non solo per il carcere di Torino: “Da buongustaio, prima che da Garante, sono ovviamente contentissimo che il carcere delle Vallette raggiunga Bollate in un progetto avanzato. Sia nel senso dell’apertura sia dal punto di vista della qualità. Sono sempre più convinto che progetti di questo tipo debbano essere uno stimolo per riuscire a dare risposte quotidiane a tutti i 3338 detenuti delle 13 carceri piemontesi. Perché se è vero che ognuna di esse ha almeno un fiore all'occhiello in termini di recupero sociale e produzioni di qualità, il contesto rimane indecente. Questi progetti dovrebbero essere una spinta moltiplicatrice per tutti”.
Parole che pongono l'attenzione su quello che si puà ancora fare, come quelle pronunciate da Monica Cristina Gallo, la Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Torino: “Tra i diversi progetti in atto presso il carcere di Torino, questo è quello che più si avvicina alla città. Favorito anche dall’ubicazione del luogo, molto prossimo al muro di cinta. Inoltre il fatto che si possa venire con le famiglie a mangiare rappresenta un forte messaggio di apertura verso l’esterno. Un “fuori” che in questo modo potrebbe iniziare a conoscere il “dentro”, attraverso le attività delle persone ristrette che in "Liberamensa, Ristorante in carcere" lavorano. Questo è sicuramente importantissimo, però manca ancora un tassello. Dare la possibilità alle famiglie dei detenuti di svolgere quelli che nella maggior parte dei paesi europei sono i colloqui gastronomici. Invece di andare in sala colloqui la domenica, quando il ristorante è chiuso, i detenuti potrebbero ad esempio venire e mangiare qui insieme ai propri cari”.
Infine non potevamo non far sentire la voce di chi al ristorante ci lavora, F., impiegato presso Liberamensa e registrarne la testimonianza sull’importanza di occupazione e formazione all’interno del carcere. “In cooperativa svolgo varie attività, dal catering al servizio presso lo spaccio del bar interno al carcere. Un’occupazione che mi ha permesso di scoprire cosa significhi lavorare all’interno dell’Istituto e che richiede impegno e responsabilità, compiti a cui prima non ero molto abituato. Adesso invece mi rimbocco le maniche e provvedo. In precedenza avevo svolto qualche piccola attività da cameriere, quindi il mondo della ristorazione era un’ambiente che un po’ già conoscevo. Sicuramente però è stata la formazione svolta in Istituto a fornirmi ancora più stimoli e competenze. Un percorso completo, comprensivo anche di una formazione sull’HACPP - l’HACPP rappresenta quell’insieme di procedure di cui devono dotarsi gli addetti alla ristorazione, per prevenire qualsiasi forma di contaminazione degli alimenti –, che mi ha permesso di aggiornare le competenze lavorative”.
Ci piace concludere con l’invito di F. a passare a trovarlo al ristorante perché “il personale, il luogo ed i piatti non mancheranno di stupirvi … E anche se non potrete assaggiare la parmigiana di mia mamma gli agnolotti al plin sono ottimi”.
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