Tutti i giorni la sveglia suona presto per poter consumare un abbondante pranzo come colazione che mi sostenga per la giornata, poiché seguiranno solo spuntini e mi devo preparare a un viaggio di circa due ore di distanza con i mezzi pubblici, per arrivare al luogo di lavoro.
Che buffo, sono in libertà e trascorro giorni a fare vita da pendolare... ma me ne sono innamorato fin da subito di questa nuova dimensione. È un’avventura continua, può essere molto stressante e stancante per il resto delle persone che viaggiano per costrizione lavorativa o altri motivi, infatti le vedi con i visi tristi, ancora un po’ assonati e che di viaggiare si vede ne farebbero volentieri a meno.
Ecco, ero esattamente così anch’io fino a prima della carcerazione, ero apatico agli spostamenti e alla vita. In cambio spendevo lo stipendio per viaggiare, perché stavo chiuso in casa a godermi il lieto trascorrere lento della mia esistenza, inseguendo il nulla. E ora sto viaggiando per davvero pagando il biglietto, un prezzo accessibile e soprattutto non dannoso per la mia salute.
Dolce ironia della vita, e chi se lo immaginava che i mezzi pubblici fossero un luogo fatato. Un via vai continuo, la gente sale e scende, una moltitudine di visi che molto probabilmente non vedrai mai più nella tua esistenza o che per un colpo di fulmine in un ipotetico romantico vagone dei desideri potrebbe farti conoscere la tua anima gemella, chi lo sa. L’amico di una vita, la spalla per i momenti no, o magari con altri ci scambi confidenze, gioie, dolori, tutte offerte da ritardi, scioperi, treni in orario, esperienze uniche che solo i servizi pubblici possono donare in modo continuo e assiduo.
Ora comprendo cosa vuole dire perdere treni nella vita: perché era soppresso per i motivi più ambigui, perché quel treno evidentemente non era il tuo, ma nonostante questo ho anche imparato che se la meta è prioritaria (nel mio caso arrivare a lavoro) te la fai a piedi se ci tieni davvero, e quante passeggiate mi son già fatto per arrivare al mio obiettivo, macinando chilometri e chilometri in questo poco tempo.
Ad ogni avvenimento negativo, ad esempio uno sciopero, che crea disagio, vedo l’ira della gente, stanca, frustrata per il mancato servizio. Io alzo le spalle, tiro su il mio zainetto colmo di libri, alimenti per la sopravvivenza e beni di prima necessità, e sorridendo alla sventura trovo soluzioni. Se ci sono mezzi pubblici sostitutivi ben venga. In caso non ce ne fossero, nel caso nulla sia nelle mie disponibilità, ho due comode gambe che con un brum urlato ad alta voce fregandomene di cosa può pensare la gente si mettono in moto e con forza d’animo raggiungiamo la meta prestabilita. Se il tempo mi è avverso accelero il passo, ma non demordo e raggiungo l’obiettivo.
Ecco, una parola a cui ho dato un nuovo significato è socialità: per me era urlare all’appuntato di aprirmi e farmi andare nella cella ospitante per l’ora di socialità. Una concezione da parte dell’istituto penitenziario, che esiste nelle carceri a regime chiuso. Uno dei pochi momenti per sgranchire le gambe a parte l’aria o il percorso per andare in doccia. Ora la socialità la vivo sui mezzi pubblici, anche perché succede veramente qualunque cosa, anche la più impensabile, e se sei propenso a fare due parole trovi sempre qualche argomento da bar su ruote. Il tempo vola, non hai l’impressione di quanto velocemente scorre via. Ormai sono talmente abituato che non sento pesante il tragitto. Al contrario lo trovo ristoratore se utilizzato per riposare oppure per studiare qualcosa.
Mi rendo conto che tutto questo lo apprezzo così tanto perché quando ero in carcere il desiderio di muoversi, di viaggiare, era agognate, ti divorava dentro la staticità di quella vita. Prima di finire in prigione mi annoiava dovermi spostare. Lo facevo per dovere ma sarei stato ben felice di muovermi il meno possibile per oziare nella mia zona di comfort. Dopo che per lungo tempo ti è imposto invece di stare fermo, di non potere fare niente liberamente, la voglia di muoversi è tanta.
Io vi vedo sui miei amati mezzi, tendenzialmente tristi, nervosi, scocciati... non lo siete per il viaggio vero? Siete giù per i vostri motivi, io le riconosco quelle facce, arrivo da un luogo di sofferenza e quei visi, quella suscettibilità sono sintomo di un malessere, io so cosa si prova, vi capisco.
Quando ero “dentro”, lo dicevo sempre per scherzare ai ragazzi in cella con me fissando oltre le mura mentre guardavo dalle sbarre il “fuori”, per farli sorridere: “Là fuori è un modo cattivo, buio, e triste, là fuori è pieno di gente cattiva, noi siamo qui dentro per proteggerci” e loro ridevano a crepapelle.
Penso che non fossi così distante, scherzando sul fuori.
È un mondo davvero difficile, almeno sui mezzi non riesco a scorgere sorrisi, solo teste abbassate che guardano uno schermo, ragazzi con le cuffie in compagnia di altri, navigatori della loro solitudine.
Sarà che son stato privato della tecnologia per molto tempo, e quindi non ne avverto il richiamo, non ne sento il bisogno, ma vedo che qualcosa non va.
E penso al me prima della galera che ero esattamente così, triste, apatico, non avevo bisogno di niente… Mi mancava la consapevolezza e i valori della bellezza della vita.
A voi viandanti in pena “Trasporti Italia” comunica: “per agevolare l’accesso al treno della vita invitiamo i gentili viaggiatori a disporsi lungo il marciapiede, dietro la linea gialla, consentendo la discesa a chi non vuole provarci, consentendo la salita sul treno diretto nei labirinti dei desideri incompiuti”.
“Se fosse vero che i viaggi educano la mente, i controllori dei treni sarebbero gli uomini più saggi del mondo.” [Santiago Rusinol i Prats]
Redazione