La paura del contagio ha mutato la vita detentiva, un cambiamento radicale, un continuo chiudi e apri, a cui ognuno di noi cerca di adattarsi.
Le attività all’interno hanno subito un rallentamento da quando è apparso il virus, una quotidianità diversa fatta di un continuo arrangiarsi, che comporta l’aumento delle insicurezze rispetto all’avvenire e non solo. Per quanto riguarda i rapporti con l’esterno, qualcosa è cambiato, relazionarsi con gli altri è diventato più difficile. Una lontananza ancora più forzata visto l’insieme di limitazioni che comportano il contesto e il covid-19. Si potrebbe dire che la realtà odierna può essere paragonata a uno dei tanti film dell’orrore che passano in TV. La detenzione è diventata più faticosa e insostenibile dal punto di vista mentale. Non poter avere una giusta percezione dei fatti, in quanto all’interno l’informazione avviene solo attraverso la tv e tramite i colloqui con i familiari, ci fa sentire ancora più isolati e divisi dal mondo esterno.
Ultimamente percepisco una crescente diffidenza da entrambe le parti, il “dentro” e il “fuori”, e secondo me rapportarsi con gli altri diventerà sempre più difficile, questo accade perché alcune attività sono state sospese o hanno subito una frenata.
Ad esempio quando parlo a casa con i miei, percepisco dalle loro parole una sofferenza diversa da quella che conoscevo, con alcune domande cerco di capire che cos’hanno. Le loro risposte mi fanno stare male, chiusi in casa è come se subissero anche loro la detenzione, questa cosa mi fa riflettere molto su come sarà la vita fuori da qui. Se potrò mai sentirmi a mio agio, come lo ero una volta.
Penso inoltre che la psicosi da coronavirus ci accompagnerà per molti anni a venire e questo comporterà sia in carcere sia fuori nuove situazioni che non saranno facili da gestire, perché alcuni sentimenti ed emozioni subiscono e subiranno una trasformazione verso una morte invisibile, diventando sempre meno parte di noi.
Per esperienza personale, mantenere un legame o coltivare gli affetti familiari in carcere era già di per sè una sfida prima della pandemia, ora con tutte le nuove restrizioni, tutto ciò è diventato ancora più difficile. Mi spaventa il fatto che comincio ad avere uno stato d’animo distaccato dalla realtà e dai sentimenti, non voglio più coinvolgermi. Mi rendo conto anche da alcuni atteggiamenti, forse la conseguenza di queste restrizioni o degli anni passati in galera, che in alcuni momenti diventano una forma di distacco, che sto alzando sempre più barriere tra me e gli altri, per mettere fine alla sofferenza e cercare di proteggermi.
Questo mi accade all’interno del carcere, una morte lenta dell’intera esistenza.
M. A. P.