Ad oggi, a solo un mese di distanza dal nostro precedente articolo, torna tragicamente doveroso fermarsi a riflettere sugli sviluppi più recenti intervenuti all’interno degli Istituti di pena, come delle risposte del governo e di chi dovrebbe tutelare un corretto svolgimento dell’esecuzione all’interno dei suddetti. Luoghi, queste carceri, che hanno raggiunto il picco critico per manifestazioni di sofferenza, che divengono sempre più costanti e intense nelle loro esplosioni.
Qualche dato: dal 16 giugno altri 13, (tre nello spazio di poche ore), detenuti hanno preso la definitiva risoluzione di togliersi la vita, un disperato grido di dolore e di denuncia del trattamento al quale è sottoposto quotidianamente il carcerato, un grido che si aggiunge all’eco dei 44 che, da inizio 2024, già erano ricorsi allo stesso estremo espediente di fuga dall’inferno in cui si erano trovati.
Altro fenomeno allarmante di un’estate 2024 che sta mettendo a severa prova la popolazione carceraria è quello delle rivolte, quattro solamente nell’ultima settimana, sempre più numerose all’interno di una statistica che talvolta va a sovrapporsi a quella dei sucidi.
È il caso di Trieste, dove un detenuto è stato trovato morto per overdose di metadone, sottratto nel corso di una manifestazione ad opera dei detenuti della Casa Circondariale “Ernesto Mari” che denunciavano le condizioni di vita all'interno con un tasso di sovraffollamento tale da costringere alcuni a dormire in terra con i materassi in mezzo alla sezione, infestati da cimici. O la rivolta, scoppiata nel carcere di Viterbo in seguito al ritrovamento di un compagno privo di vita in una delle celle, che ha subito causato il mobilitarsi dell’intera sezione.
Ma gli episodi, tra tentati e riusciti sucidi, autolesionismi e aggressioni, sono molti di più, e questo è solamente un flash, un’istantanea del dettaglio di una panoramica che ritrae un carcere, quello di quest’estate 2024, come punto estremo dell’abbandono.
E le istituzioni?
Risulta sempre più evidente come l’immaginario istituzionale sia lontano dal dettato costituzionale, basta leggere la maggior parte degli organi di stampa. Come nel caso delle risposte della magistratura di sorveglianza, circa gli esposti provenienti dal carcere di Solicciano, rigettati anche perché: “L’acqua calda non è un diritto, il carcere non è un hotel”. In fin dei conti, sembrerebbe inserirsi in questa linea anche il nuovo D. L. già battezzato “Carcere sicuro”, che approfondiremo nel prossimo numero della rivista online ad agosto. Una regressione che è propria del sistema carcerario italiano, popolato di “scopini”, “spesini” e
“domandine” e che sembrerebbe coinvolgere anche il Decreto Legge, che il carcere lo tocca solo di sfuggita, dove l’unica proposta significativa in termini di sovraffollamento parrebbe essere quella concernente il maggiore deferimento di misure alternative attraverso le comunità, destinate in modo consistente anche all’esecuzione domiciliare, e quindi trasformate in “carcerini”, per adottare il gergo infantilizzante tanto caro al nostro sistema penale.
Tout court questo pacchetto di “Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia” è urgente solo nelle parole, nei fatti minimizzante e comunque senza alcuna applicabilità prima dei sei mesi, quando la punta critica dell’estate sarà già passata da un pezzo, e non resterà che trarre ancora una volta le macabre somme di un bilancio nel quale le vittime delle istituzioni rappresentano l’unica voce in attivo.
Nota positiva, che tiene in conto la reale situazione del carcere, è la proposta Giachetti, che verrà discussa alla Camera il 23 luglio per l’estensione della libertà anticipata da 45 a 60 giorni, non solamente una misura che, questa sì, potrebbe risultare efficace nel ridurre la pressione che grava sulle carceri, ma anche un segno di apertura verso le problematiche di una popolazione detenuta ormai stremata oltre ogni limite.
Le misure per ridurre la pressione sulle carceri potrebbero essere diverse, oltre alla proposta Giachetti, si potrebbero depenalizzare alcuni reati, aumentare il ricorso alle misure alternative, trovare collocazioni adeguate a chi ha problemi di salute mentale, aumentare non solo il numero degli agenti ma anche quello degli educatori, degli psicologi, dei mediatori…
Questo renderebbe la vita migliore non solo per i detenuti ma anche per chi lavora all’interno del carcere.
Redazione
Illustrazione di Giulia D'Ursi - Eta Beta Scs