All'epoca dell'elaborazione dell'Ordinamento Penitenziario erano state segnalate due esigenze di ordine differente: in primo luogo, prevedere brevi permessi di uscita dall'istituto penitenziario per gravi esigenze familiari del detenuto; in secondo luogo, dare l'opportunità di attenuare l'isolamento derivante dalla vita carceraria mediante la concessione di brevi uscite destinate a favorire il mantenimento delle relazioni familiari e sociali. La legge del 1975 non intese, però, corrispondere alla seconda delle due esigenze, dato che la previsione relativa a brevi permessi per mantenere vive le relazioni umane, pur se presente nel corso dei lavori parlamentari, non venne mantenuta nel testo poi approvato.
Ancora oggi, nonostante l’introduzione nell’Ordinamento dell’ istituto del permesso premio (concesso per “coltivare interessi familiari, culturali e lavorativi”) è rimasta una variegata applicazione del permesso di necessità data dalla diversa interpretazione data dai Magistrati di Sorveglianza legata al concetto di gravità e di evento. Infatti Magistrati di Sorveglianza hanno a volte concesso questo beneficio anche in situazioni non di particolari gravità (ad esempio il primo giorno di scuola del figlio), mentre altri Magistrati hanno negato il permesso in caso di genitori in ospedale adducendo come motivazione il non imminente pericolo di vita.
Ora una sentenza della Corte di Cassazione (numero 48424/2017) accoglie il ricorso di un detenuto al quale il Magistrato di Sorveglianza aveva rigettato il permesso.
Vediamo nello specifico di cosa si tratta.
Sia il Magistrato che il Tribunale di Sorveglianza di Roma hanno rigettato la richiesta, ed il successivo ricorso del detenuto, in espiazione di una condanna all'ergastolo per reati ostativi dei benefici penitenziari ex art. 4-bis Ord. Pen., che chiedeva di fare visita e stare vicino alla moglie in occasione della nascita del figlio, avvenuta a seguito di fecondazione assistita. Secondo i giudici la nascita di un figlio non costituiva evento irripetibile della vita familiare, idoneo a integrare la particolare gravità postulata dall'art. 30 Ord. Pen., potendo in ogni caso il detenuto incontrare sia il figlio neonato che la moglie in sede di colloqui visivi presso l'istituto penitenziario di appartenenza, negli appositi spazi messi a disposizione.
Secondo la Suprema Corte, che ha accettato il ricorso del detenuto, “I requisiti della particolare gravità dell'evento giustificativo e della sua correlazione con la vita familiare, indispensabili per la concessione del permesso, devono essere verificati con riguardo alla capacità dell'evento stesso - da intendersi nella sua accezione di fatto storico specifico e ben individuato - di incidere in modo significativo nella vicenda umana del detenuto, senza che debba trattarsi necessariamente di un evento luttuoso o drammatico: assume, invece, importanza decisiva la sua natura di evento inusuale e del tutto al di fuori della quotidianità, sia per il suo intrinseco rilievo fattuale, sia per la sua incidenza nella vita del detenuto e nell'esperienza umana della detenzione carceraria (Sez. 1 n.15953 del 27/11/2015, Rv. 267210)".
Sempre secondo la Cassazione “l’affermazione del Tribunale di sorveglianza secondo cui la nascita di un figlio non costituisce, per il genitore, un evento (necessariamente) irripetibile potrebbe anche apparire fondata dal punto di vista strettamente naturalistico, ma non è condivisibile sotto il profilo - che assume rilevanza dirimente agli effetti della valutazione da compiersi ex art. 30 ord.pen. - della sua concreta incidenza sull'esperienza umana del genitore interessato, per il quale la nascita di ciascun figlio rappresenta un evento emozionale di natura eccezionale e insostituibile, tale da realizzare un unicum indelebile nella sua esperienza di vita. Non può negarsi, del pari, la natura fortemente coinvolgente dell'evento-parto in sé, anche se destinato ad avvenire con metodi naturali, sotto il profilo dell’intensità emotiva che normalmente caratterizza la partecipazione del padre alla nascita di un figlio, anche sotto il profilo della preoccupazione contestuale per la salute tanto della madre quanto del bambino, concorrendo a conferire quel carattere di eccezionalità e di inusualità che concretizza la particolare gravità dell'evento familiare postulata dall'art. 30 comma 2 ord.pen.: anche di tale fondamentale elemento di valutazione il Tribunale di sorveglianza non ha tenuto adeguato conto, nel giudizio che ha escluso l'importanza, nell'esperienza umana del genitore detenuto, della partecipazione personale e diretta all'evento della nascita del figlio, che non appare surrogabile dalla possibilità assicuratadall'ordinamento penitenziario di ricevere la visita in carcere del neonato e della madre in un momento successivo”.
Per queste ragioni la suprema Corte ha annullato l'ordinanza impugnata con rinvio per un nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma, che si atterrà ai principi sopra indicati.
Caso chiuso? Sembrerebbe di sì, ma forse potrebbe non esserlo...
D. G.
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