Le parole chiave di Angelica, Aurora, Marco, Carolina e Lorenzo restituiscono una visione del carcere, in particolare della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino e di chi vi è recluso, lontana dai clamori mediatici e dai luoghi comuni, vista con gli occhi di chi è fuori e forse il carcere non lo conosceva ed ha imparato a farlo in 365 giorni di frequentazione con chi lo vive quotidianamente. Un luogo, uno spazio, “una città nella città” poco conosciuta dai più e di cui si è discusso il 12 febbraio a Palazzo Faletti di Barolo durante l’incontro “Il carcere tra fatiche, speranze e progetti di riscatto”. Giornata nella quale sono state presentate le attività svolte dalle ACLI all’interno dei circuiti detentivi cittadini, tra le altre quelle di consulenza fiscale e previdenziale al servizio dei detenuti e un video ispirato a una fiaba rom. Il cortometraggio, promosso da Acli Torino - in collaborazione con il Garante per i diritti delle persone private della libertà della Città di Torino - è parte del percorso realizzato con il progetto “In relazione: io, tu, noi’”, per il supporto alla relazione di un gruppo di giovani madri detenute presso l’ICAM (Istituto di Custodia Attenuata per detenute Madri) del “Lorusso e Cutugno”, sul tema dell'essere madre e del legame madre-figli.
Evento inserito all’interno nel calendario Extra di UTOPICA la città delle persone, serie di incontri voluti dall’Acli Torino per provare a ragionare su una “città capace di offrire opportunità e risorse” e sulla “comunità quale crocevia di risorse”, come sottolineato da Raffaella Dispenza, Presidente delle ACLI Provinciali di Torino. Opportunità da offrire anche “alla città nella città, quella recintata da muri e dall’altra separata”, perché come ricorda Domenico Ricca, per tutti Don Mecu, il cappellano dell’Istituto minorile Ferrante Aporti “il carcere per essere meno violento deve aprirsi al fuori, a un esterno che non sia solo quello istituzionale, in quanto carcere e territorio sono un’unica città, quella delle persone.”
Persone come le donne ospiti dell’I.C.A.M., per la maggior parte di origine rom, le cui silhouette nere e la voce narrante sono le interpreti del video di Roberto Agagliate. “La madre è il suo principe” liberamente tratto da una fiaba rom pubblicata nel 1899 a Londra da Hurst and Blakett e raccolta nei “Gypsy Folk-Tales”, è un cortometraggio realizzato con riprese in green screen, volutamente dal taglio artistico e non documentaristico. Dodici minuti dove le stratificazioni dei significati, i simboli, si rincorrono lungo tutta la narrazione filmica e dove, assumono notevole importanza, come precisa lo stesso Agagliate “tre cappelli di cartone, un materiale che si rimette in circolo, e il carcere dovrebbe servire a rimettere in circolo le persone. Dove le protagoniste, la madre cattiva e la madre buona, non si trovano mai insieme, perché probabilmente sono la stessa persona, e forse bisogna ricordarsi che le ombre vanno illuminate, se no combinano disastri.”
“Un lavoro realizzato con estrema delicatezza” il commento conclusivo della Garante per i diritti delle persone private della libertà della Città di Torino Monica Cristina Gallo, “che dimostra come l’I.C.A.M. di Torino non sia un semplice contenitore dove trascorrere il tempo della pena, ma che oggi lo stesso si sia arricchito di contenuti e significati, per ridare dignità a chi vi soggiorna. Esempio, insieme a quello dei ragazzi del Servizio civile, di come si possa garantire il diritto alla conoscenza ed alla costruzione di reti.”
G. B.