Io non sono mai stato un amante della lettura o della scrittura, la scuola non mi è mai piaciuta. Quando dovevo scrivere qualcosa la scrivevo sul computer o al telefono, non prendevo mai carta e penna.
In carcere non ci sono il computer o i telefonini.
Con il passare del tempo ho cominciato a frequentare la scuola e la biblioteca dell’istituto penitenziario, conoscendo nuove culture, un nuovo mondo fatto di letture, dove era possibile viaggiare ed evadere con la mente, e di scritture. Scoprendo che la nostra piccola voce, dagli abissi del carcere, preclusa a tutti i moderni strumenti di comunicazione, dai “like” agli “emoticon”, poteva ricorrere alla carta e alla penna per fare arrivare un pensiero al di là delle mura.
In carcere dovevo dimenticare la tecnologia, ma prendere carta e penna per scrivere alla famiglia o ad un amico e siccome non utilizzavo mai la penna fuori, non era facile cominciare ad usarla, scrivere una lettera lunga mi sembrava uno sforzo enorme.
Non c’erano alternative, mi sedevo al tavolo fissato al muro su un sgabello di legno con vista verso la finestra della camera di pernottamento circondata di ferro, e appena entrava la luce del sole accompagnata dai rumori delle chiavi e dei cancelli, mi concentravo per esprimere i miei pensieri, raccontando la giornata e il mio stato d’animo alla persone care.
Durante la scrittura lo spirito e la mente non erano recluse.
La scrittura in carcere è un ponte tra dentro e fuori e può essere il mezzo per caricare di senso una cosa di per sé insensata. La scrittura minima, anche solo una lettera a un amico, all’interno ha un ruolo fondamentale ti porta altrove, ti fa rivivere momenti e persone.
Fuori sono ritornato a carta e penna solo per scrivere dalla liberta a un mio amico che si trovava in carcere. La destinazione della mia lettera, il carcere, mi ha riportato indietro nel tempo, ricordandomi i momenti difficili della mia esistenza, immaginando la chiamata degli agenti nel consegnarti la posta. Momenti vissuti migliaia di volte, nel dolore e nel malessere, ma sempre con il sorriso in faccia e rispondendo “arrivo”.
Una volta presa la posta poi non sapevi se saresti stato contento o infelice leggendone il contenuto che poteva riportare una buona notizia o meno.
Oggi la biro nelle mie mani è uno strumento strano dopo molto tempo che non la utilizzo.
Il passato non è uguale a quello che gli occhi vedono nel presente, mentre scrivo la lettera seduto alla tavola di casa con vista verso la città con macchine, alberi, persone che passeggiano. Sto perdendo l’abitudine di scrivere in questo modo fuori dal carcere, ogni giorno che passa. La liberta mi priva (per una scelta più facile) di un’abitudine così importante come scrivere a mano, la semplicità di scrivere con la tecnologia mi ha incantato, facendomi mettere da parte carta e penna che mi hanno fatto compagnia per moltissimi anni.
Anche noi siamo uno spicchio di questa società di cui tutti facciamo parte. Desiderano un mondo migliore non solo coloro che vivono liberi, ma anche coloro che vivono rinchiusi. Ogni volta che prendo la penna per scrivere mi ritorna in mente il passato, non sempre facile mentre a quasi tutte le persone carta e penna ricordano la scuola, a me ricordano le lettere scritte in carcere.
E. A.