, per esempio gioia per aver ottenuto una buona notizia, soddisfazione per un obiettivo raggiunto.
Ad essere compromessa nell’ambiente carcerario è soprattutto l’autonomia dell’azione: uno dei modi più espliciti in cui ciò avviene è quello di obbligare il detenuto a chiedere il permesso o a domandare aiuto per attività secondarie che normalmente chiunque è in grado di svolgere da solo, come per esempio telefonare, spedire una lettera o spendere dei soldi. Le “domandine” con cui si indica nel linguaggio carcerario qualsiasi richiesta avanzata dal detenuto, hanno l’immediato effetto di suggestionare l’autodeterminazione, l’autonomia e la libertà di azione.
Il corso della vita impone che si possa esprimere un pensiero, un sorriso, sapendo che esiste una risposta, sapendo che il destinatario saprà apprezzare quel messaggio che lanciamo, perché abbiamo bisogno di una parola di conforto, di uno sguardo che possa cogliere quello stato d’animo.
Dunque quel rapporto di amore, di bene e di affettività, all’interno del carcere è compromesso all’infinito. Diventa qualcosa che si custodisce gelosamente, soprattutto quando quell’attimo è passato (ad esempio dopo un colloquio visivo o telefonico), fino alla prossima volta sperando che “una prossima volta” ci sia.
Aspettandola nel dubbio o nella certezza o ancora nell’incertezza, accompagnate dalla paura umana della solitudine. Ma in carcere molti non sanno di averla e patirla, la coprono, la mascherano con tante facce.
Negli ultimi periodi mi è capitato di dover ascoltare delle storie molto interessanti a tal proposito, in particolare quella di un ragazzo straniero che ha conosciuto la sua compagna di vita parlandoci da un padiglione all’altro. Il padiglione femminile in tutte le carceri, se presente, è distaccato dagli altri e l’unico modo per potervi entrare in contatto è comunicare attraverso la finestra.
Ma tornando all’aneddoto inusuale per questi luoghi, un giorno il ragazzo fumando una sigaretta alla finestra ad un certo punto sente una voce di donna dal blocco femminile, “Hei tu come ti chiami, ecc...?” lui risponde e così iniziano ad interloquire per un po’ di tempo. Passano i giorni, e i due si cercano di nuovo, ormai è diventata una necessità. Un giorno si scambiano i propri nomi, ed incomincia un rapporto epistolare. Si scrivono diverse volte, si raccontano un po’ di cose e poi decidono di provare a fare richiesta alla direzione per potersi incontrare per un colloquio.
Ora, il regolamento penitenziario, prevede che per poter fare un colloquio interno tra detenuti si debbano presentare i documenti di entrambi, di solito può essere ammesso per persone sposate o conviventi o parenti.
C’è spazio anche per colleghi e amici, sempre nell’ambito delle ore concesse e dopo autorizzazione, le “terze persone”. Volendo il loro caso rientrava in questa ultima categoria.
A quel punto il ragazzo chiede un colloquio con il Direttore spiegando la situazione, come ha conosciuto la ragazza ed esprimendo il suo desiderio di incontrarla e conoscerla. Il Direttore naturalmente gli spiega che se lei non risulta essere sua moglie o convivente è un po’ difficile che gli possa essere concesso il colloquio, ma il ragazzo non si scoraggia, ringrazia il Direttore per l’ascolto e a quel punto si congeda.
Ritorna in sezione e quando rientra in cella racconta di aver parlato con il Direttore e di come l’ordinamento penitenziario risulti molto rigido per quanto concerne alcune regole. Dopo un paio di giorni viene chiamato presso l’Ufficio Comando del padiglione, dove ad attenderlo c’è il Coordinatore del padiglione stesso, che gli comunica che il Direttore gli ha concesso il colloquio interno, con la possibilità di incontrare la ragazza per sei volte al mese. Il ragazzo non riesce a crederci, è ancora incredulo, dopo avere ricevuto la notizia corre in cella e va alla finestra per comunicare la bella notizia alla ragazza.
A gran voce la chiama e dopo un paio di “squilli” lei risponde. “Ciao - gli dice lui - sai che ci hanno autorizzato i colloqui, e che presto ci potremo incontrare” e così stabiliscono un giorno che vada bene a tutti e due per prenotare il colloquio e incontrarsi.
Successivamente mi raccontò che due giorni prima le aveva comprato un mazzo di fiori e che lei quando lo vide arrivare diventò così rossa in viso che sembrava un peperone. Ovviamente erano imbarazzati durante il primo incontro, ma poi, incontro dopo incontro, decisero di continuare a frequentarsi, e che una volta usciti avrebbero continuato la loro fantastica storia.
Oggi stanno continuando ancora a frequentarsi tramite i colloqui, la storia sta durando da almeno due anni, il loro fine pena non è molto lontano e da quanto ne so nessuno aveva mai raggiunto un obbiettivo così impossibile all’apparenza. In galera ci sono ancora persone che capiscono la vera realtà della detenzione e sono capaci di interpretare le problematiche di chi è recluso.
Redazione