Una sentenza che segue quella di giugno espressa dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo riguardo alle persone detenute impossibilitate a usufruire dei benefici di legge e delle misure alternative anche per il fatto di essersi visti infliggere una condanna che non consente l’accesso ai permessi premio, step basilare per ottenerli o usufruirne. Introdotto negli anni ’90, l’ergastolo ostativo, come misura d’emergenza e risposta alle stragi di mafia, vieta ogni accesso ai benefici penitenziari ed è inflitto a soggetti ritenuti altamente pericolosi che hanno commesso determinati delitti: per esempio il sequestro di persona a scopo di estorsione oppure l’associazione di tipo mafioso e che non hanno collaborato con la giustizia. Il caso presso la Corte Europea dei Diritti Umani era stato sollevato da un detenuto italiano (Caso Viola) e per il quale lo scorso 13 giugno la stessa aveva affermato “… l’ergastolo ostativo è contrario all’art. 3 della Convenzione europea per i diritti umani …” Ritenendo contraria alla garanzia dei diritti umani qualsiasi pena che faccia perdere qualsivoglia speranza alla persona, prescindendo dal reato da questi commesso. Trovando superfluo ritenere che la volontà di non collaborare equivalga a una mancata rieducazione, fattore decisivo per la concessione dei benefici, chiedendo allo Stato Italiano di riformare la legge sul fine pena mai che impedisce a molti ergastolani di usufruire dei benefici se non collaborano con la giustizia.
Si può decidere di collaborare senza essere pentiti per i fatti commessi o al contrario pentirsi, ma decidere di non collaborare per molti motivi come ad esempio la paura di ritorsioni verso se stessi o i propri familiari, la posizione marginale all’interno di un sodalizio criminale e non essere quindi in grado di dare un proprio contributo o essere innocenti come molti ancora oggi si dichiarano. I Giudici rimangono d’accordo sul fatto che la decisione per la concessione dei benefici rimanga affidata completamente alla discrezionalità della Magistratura di Sorveglianza che vaglierà caso per caso se consistono gli estremi per l’eventuale concessione, sussistendone i requisiti per ciascun soggetto.
La questione è la medesima dei casi degli ergastolani Sebastiano Cannizzaro e Pietro Pavone, esaminati dalla Corte Costituzionale. Il/i soggetti non possono essere ammessi ai benefici poiché non ha/hanno mai collaborato con la giustizia. Accogliendo il ricordo dei legali la Corte Costituzionale ha ribadito quanto espresso in sede transnazionale, circostanziandolo, riconoscendo l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1. Cioè che “la mancata collaborazione con la giustizia non impedisce i permessi premio, purchè ci siano elementi che escludono collegamenti con la criminalità organizzata.” Da domani le persone sottoposte a regime di fine pena mai, potranno dunque beneficiare dei permessi premio. Non automaticamente, come per tutti gli altri detenuti, le richieste saranno vagliate dalla Magistratura di Sorveglianza, che, in seguito ad un’attenta analisi delle sintesi fornite da psicologi, educatori e criminologi dei vari istituti di pena, si esprimeranno autonomamente in merito alla concessione o meno del benefici. La sentenza riguarda esclusivamente il permesso premio e non anche gli altri benefici.
Redazione