Nella giuria del Pulitzer 2017, gestito dalla Columbia university di New York, figuravano tra gli altri: Gail Collins columnist del “The New York Times”, Eugene Robinson del “The Washington Post”, Katherine Boo scrittrice del “The New Yorker” e lo scrittore creativo e professore presso il Massachusetts Institute of Technolog di Boston Junot Dìaz, già vincitore del Pulitzer nel 2008.
Per il giornalismo la sorpresa maggiore è arrivata nella categoria Servizi di pubblica utilità (Public service). A vincere il New York Daily News e Pro Publica. Autori di una serie di articoli sugli abusi compiuti della polizia di New York durante gli sfratti in quartieri abitati prevalentemente da minoranze. Artefice principale Sarah Ryley, fino al 2017 editorialista e giornalista proprio per il NewYork Daily News e Pro Publica, attualmente, come riporta il suo sito web, giornalista investigativa presso la redazione no-profit The Trace. Pezzi che hanno portato alla luce un meccanismo poco noto, utilizzato dal New York Police Department e che ha dato vita a un’indagine interna e ad una class action per la tutela dei diritti civili, oltre ad una serie di proposte di legge approvate per la difesa degli inquilini. I suoi reportage oltre al grande valore di denuncia e di difesa dei diritti, raccontano con una serie di dati e testimonianze numerosi arresti effettuati attraverso la “nuisance abatement law”, varata negli anni ’70. Legge che permette l’accesso della polizia in abitazioni private dove si verificano attività illegali, ma in questi casi effettuate con irruzioni senza mandato, o per presunte incriminazioni per possesso di stupefacenti, terminate tutte con il risultato effettivo di dare concretezza “allo sfratto”.
In letteratura, teatro e musica, sono invece Lynn Nottage per l’opera teatrale “Sweat”(categoria Teatro) e Heather Ann Thompson (categoria Storia) per un saggio sulla rivolta nel carcere di Attica del 1971, le vincitrici del prestigioso Premio.
Per la Nottage non si tratta di una novità essendo questo il secondo Pulitzer vinto, dopo quello del 2009 con “Ruined”. In Sweat la drammaturga newyorkese analizza le ripercussioni sociali della perdita del lavoro e della chiusura di una fabbrica in una comunità e gli effetti della “deindustrializzazione”. Ambientando la pièce teatrale in Pennsylvania e partendo dall’incontro tra un poliziotto, due ex detenuti e tre ex-operaie, una volta amici d’infanzia.
“Blood in the Water: The Attica Prison Uprising of 1971 and Its Legacy”, ancora inedito in Italia, è invece il racconto della ribellione della comunità afroamericana e portoricana nel carcere di Attica nello stato di New York all’inizio degli anni ’70. Pur essendo stata la rivolta più sanguinosa degli U.S.A., culminata con un massacro ad opere delle forze dell’ordine, ricordata come momento basilare per la lotta in difesa dei diritti civili e umani delle persone private di libertà, a quarantacinque anni (in libro è del 2016) di distanza quest’opera di storia rappresenta un lucido esempio di come il passato e la memoria possano in modo diretto parlare al presente.
(G. B.)
Foto di apertura: Imprisoned by bikst @pixabay - CC0 Public Domain