Pubblichiamo un intervento di Marina Mazzini dell'Istituto Interregionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia - UNICRI, intervenuta al Convegno di Letter@21 "Varcare il confine", organizzato durante il Salone Internazionale del Libro di Torino 2017.
“Sei legata a loro, sei legata a questo giuramento, sei obbligata a rispettarlo. E ci sono quelli che, non so come spiegarlo, quelli che ti comandano perché questo giuramento c’è. Ti devono comandare, ti devono controllare, e tu sei costretta a rispettarlo”.
(intervista vittima n. 7)
“Uscivo di casa alle 6, alle 5.40 di mattina ed entravo alle 3, 4 di mattina. Dormivo un’ora, un’ora e mezza (…) se no dormi sul treno. Mi ricordo quante volte sono andata a finire a Pisa. Ti addormentavi, il viaggio durava un’ora e 15 minuti. Allora ti alzavi di corsa per prendere il prossimo treno e arrivare a Tarquinia”.
(intervista vittima n. 7).
Estratto dalla pubblicazione dell’UNICRI sulle vittime della tratta dalla Nigeria all’Italia.
La giornata mondiale del rifugiato rappresenta un’importante opportunità per riflettere anche sulla tratta e il traffico di esseri umani oltre che sul fenomeno migratorio in generale. Nel 2004 l’UNICRI era impegnato in un progetto di prevenzione e contrasto della tratta di donne e adolescenti dalla Nigeria all’Italia. Anche allora si parlava di emergenza ed iniziavano ad emergere con chiarezza i contorni di un fenomeno vergognoso che veniva connotato come una nuova forma di schiavitù. Si parlava di emergenza anche negli anni ’90, con gli sbarchi dall’Albania e ancora oggi, a quasi trent’anni di distanza, si parla di emergenza.
La società moderna deriva dallo scambio mondiale di conoscenze, dai movimenti continui di persone e di beni. Il principio sul quale si basa la crescita intellettuale, morale ed economica è quello del valore aggiunto apportato da questo movimento. E tuttavia, ancora oggi il fenomeno migratorio è sinonimo di emergenza e connotato in modo negativo. Ma queste sono tuttavia “emergenze” che si legano a fenomeni naturali, a situazioni di estrema povertà, di abuso dei diritti umani, alla discriminazione e alla violenza dei conflitti che affliggono troppi paesi del mondo. Un’emergenza che mette a nudo la nostra impreparazione, le assimetrie delle strategie di sviluppo e le incoerenze a livello di politiche e di procedure. Un’emergenza che consente ai gruppi criminali di proliferare sulla pelle di persone che cercano semplicemente un luogo nel quale poter trovare un lavoro, o sfuggire alle persecuzioni.
Il progetto che conducemmo agli inizi del 2000 consentì la cooperazione tra le autorità e le forze dell’ordine italiane e nigeriane nel contrastare i gruppi della criminalità organizzata. Ci permise di assistere le vittime, anche attraverso il coinvogimento di organizzazioni della società civile in Italia e Nigeria e attraverso il numero verde contro la tratta. Allora l’Italia era all’avanguardia poiché le vittime potevano entrare nei programmi di protezione anche senza denunciare gli sfruttatori. Nel contesto del progetto, sono state condotte attività di sensibilizzazione e di microcredito a favore delle vittime e delle giovani donne a rischio.
A Torino le unità di strada – composte da assistenti sociali e mediatori culturali nigeriani – hanno contattato 1236 donne, fornendo loro informazioni sui servizi di assistenza legali, sociali e sanitari e promuovendo il loro inserimento nei programmi di protezione.
Allora le ricerche condotte davono una dimensione del debito che le vittime contraevano con i trafficanti e al fatto che venissero soggiogate attraverso minacce e riti voodoo. Questi riti costituiscono una potente forma di condizionamento e gli sfruttatori gestiscono il debito con modalità usurarie e costringono le donne a lavorare sulla strada in condizioni sempre più violente e coercitive.
Oggi parliamo ancora di questi fenomeni, poiché la tratta e il traffico di persone non sono diminuiti. Al contrario stanno diventando una costante per le persone in cerca di un passaggio verso un futuro, che immaginano migliore del loro presente.
Ma laddove c’è un modo per mettere a frutto la vulnerabilità delle persone si inseriscono le organizzazioni criminali. Le rotte delle persone seguono quelle della droga e del traffico di armi. Il business criminale non fa differenze tra merci e persone.
Quanto rimanga ancora da fare è sotto gli occhi di tutti noi.
Uno studio condotto recentemente dall’UNICRI sui migranti economici ha di nuovo evidenziato queste vulnerabilità. Ci siamo avvicinati alle esperienze dei venditori di fiori a Torino e ciò che è emerso è che, per coloro che cercano un lavoro in un altro paese, l’ingresso irregolare è troppo spesso l’unica opzione. Un’opzione che di fatto si traduce in una condizione di ricattabilità e sfruttamento continuo, alla partenza, durante il tragitto e all’arrivo – dove intermediari e falsi datori di lavoro guadagnano sulla pelle di persone che hanno dato fondo ai loro averi perseguendo il sogno di una vita.
Per concludere, oggi non possiamo pensare di doverci “difendere” dal fenomeno migratorio, di fermarlo, di limitare i diritti fondamentali delle persone e venire meno alle basi della nostra società moderna basata sulla globalizzazione, quanto piuttosto di garantire che le condizioni in essere consentano percorsi legali e sicuri per i migranti. Dobbiamo indirizzare le ragioni di questo fenomeno quando diventa insostenibile per i migranti e le comunità, quando è il frutto di una scelta obbligata.
Chi sceglie di lasciare la propria patria, la propria famiglia, non lo fa a cuor leggero. Dobbiamo fare di più perché i paesi di origine possano garantire sviluppo e sicurezza e nei paesi di transito e destinazione vi siano le condizioni per poter garantire movimenti migratori legali, assistenza a chi fugge dalle guerre, dalle calamità e dalle carestie. Dobbiamo fare di più per fermare la criminalità organizzata e in generale la filiera di persone che abusano dei migranti.
Dobbiamo fare di più per ribadire il principio di eguaglianza e cittadinanza globale. Non siamo solamente numeri nel mercato globale, ma siamo parte di una comunità mondiale che dovrebbe poter credere in un ideale di protezione e benessere per tutte le persone.
(Marina Mazzini)