Il quartiere delle Vallette è senza dubbio uno dei migliori di Torino, in quanto concede la serenità che via via sta andando perdendosi nel resto della città. Inoltre è uno spettacolo per gli occhi, offre spazi verdi praticamente in ogni via e per chi non lo conosce o vi è stato sa che regna l’ordine e non il caos che purtroppo caratterizza gli altri quartieri della città, garantendo così, ad abitanti e non, una vivibilità quieta e pacifica.
Effettivamente fa riflettere che l’istituto penitenziario situato in esso sia una realtà così distaccata, quasi estrema; tuttavia bisogna considerare che la base di un rapporto è la conoscenza, l’informazione che permette alle parti di esprimere un giudizio razionale con la consapevolezza necessaria.
Qui entra in gioco questo progetto, che ha iniziato a mettere in relazione l’esterno con l’interno ed offre alla collettività la possibilità di iniziare a vedere questa realtà da vicino, abbattendo il muro del pregiudizio e dando a noi detenuti la possibilità di far vedere che non siamo lo scarto della società che si vuole fare passare, ma bensì esseri umani, che hanno sì sbagliato violando la legge, ma con tanta voglia di rinnovarsi e riprendere la nostra vita in mano.
Questo però risulta impossibile dal momento in cui la stessa società ci emargina, appunto, sulla base di pregiudizi, pur non conoscendoci e quindi diventa fondamentale informare l’esterno (che sia il quartiere Vallette o l’intera città) su chi noi realmente siamo.
A questo proposito invito vivamente le istituzioni a fare ciò che è in loro potere perché questo sia possibile, investendo su noi detenuti con progetti che ci mettano a contatto con l’esterno, lavorando o svolgendo lavori socialmente utili in modo tale ta far conoscere alla collettività la popolazione detenuta e non reprimendoci nelle nostre sezioni con poche attività fini solo a se stesse.
Ad esempio, sarebbe un’ottima idea mettere i detenuti a disposizione del quartiere, come accade nelle carceri di Fossano, Saluzzo, Alessandria ove detenuti ogni giorno escono dal carcere per tenere pulita la città e svolgere le loro mansioni lavorative, allora sì che gli abitanti del quartiere potrebbero esprimere un giudizio e nel contempo approfondire questa conoscenza.
Anche perché la prova di questa lontananza tra dentro e fuori sembra provenire da due mondi completamente diversi, incuriositi gli uni dagli altri dal capire le apparenti e reali differenze che ci separano, colpiti da un vortice di emozioni (curiosità, timore, ansia) che scaturiscono in noi un senso di estraneità.
Ritengo quindi sia giusto e necessario approfondire e incentivare tale conoscenza, la quale potrebbe seriamente condurre a un più semplice reinserimento, ma soprattutto funzionale per noi detenuti, diminuendo considerevolmente tutti i dati sconfortanti concernenti l’ambito carcerario.
Concludo ringraziando tutte le persone che hanno reso possibile quest’iniziativa, gradita e benvoluta, con la speranza che il messaggio sia giunto a destinazione.
Andrea
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Immagine tratta da "Ninna Nanna prigioniera" di Rossella Schillaci