Nei miei ricordi, perché l’attività può essere differente da carcere a carcere, ogni mattina dovevo scendere in cucina per prendere la colazione da distribuire in sezione, alcuni litri di latte, caffè, the, pane e frutta. Ad aspettarmi per la consegna del carrello c’era un assistente o un detenuto che lavorava all’interno della cucina.
Le indicazioni per la distribuzione erano sempre uguali, un “coppino grande in acciaio” per ciascun recluso, in grado di riempire un bicchiere, naturalmente usa e getta di plastica da 200 ml., una o due, a seconda della forma, pagnotte e due frutti in base al peso e alla disponibilità.
Gestire questa parte non era difficile, i problemi arrivano con il pranzo e la cena.
Quotidianamente le informazioni potevano cambiare, a seconda della composizione della sezione e del cibo: potevano esserci menù differenti, pasti specifici per i detenuti musulmani o preparati ad hoc per chi avesse necessità di un regime alimentare particolare, per problemi di salute.
Al mattino quasi sempre avanzava la frutta, il pane e il the e cercavo sempre di ridistribuire la rimanenza in modo omogeneo con un secondo giro. Inoltre se qualcuno non voleva la colazione, perché se la preparava da solo, la davo a chi era più in difficoltà, o a coloro che non potevano permettersi di acquistarsi i prodotti alimentari della spesa.
Questo succedeva anche con gli altri pasti, facevo il giro della sezione e se avanzava del cibo lo ridistribuivo seguendo gli stessi criteri della colazione, privilegiando coloro che avevano soltanto il carrello a disposizione per nutrirsi.
In carcere alcune persone possono cucinare in cella (o meglio camera di pernottamento) in autonomia, rispettando le restrizioni che in letter@21 abbiamo illustrato più volte, acquistando i prodotti alimentari dal sopravitto, ma nonostante tutto a volte il cibo non basta.
Quando il carrello proponeva qualcosa di più appetitoso del solito la sezione si vivacizzava, tutti lo volevano, e facendo le porzioni indicate dagli addetti si rischiava di scontentare qualcuno. A questo punto subentravano le competenze relazionali del mestiere. Bisognava placare chi riteneva di avere ricevuto una porzione troppo piccola, rassicurandoli che se avanzava del cibo si sarebbe tornati indietro, senza considerare le incomprensioni linguistiche, motivo di ulteriori lamentele.
Però se c’è la volontà di ascoltare consigli, e provando a fidarsi, relazionandosi invece di opporsi alle persone, la gestione di qualsiasi mansione o momento di condivisione in carcere può essere più semplice di quanto ci si immagini. L’altra faccia della medaglia è che sfortunatamente questi lavori sono a rotazione e dunque l’aspetto economico è una delle tante difficoltà carcerarie quotidiane, con le quali dover fare i conti. Se non hai nessuna entrata economica e nessuno al di fuori di queste mura che può aiutarti e starti vicino… diventa molto dura.
Redazione