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Lunedì, 27 Novembre 2017 11:41

Narrazioni dal carcere di Torino: Il mio primo permesso premio

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Mentre percorro il lungo ed interminabile sentiero, verso la tanto desiderata e voluta libertà, sento che dietro di me, si allontana sempre di più, il continuo vociferare e il rimbombante tintinnio di chiavi metalliche e cancelli, che solitamente scandiscono le sezioni durante tutta la giornata.

La mia mente è confusa, in un misto di scontata contentezza e di illimitata euforia che cerco di nascondere il più possibile, non solo agli altri, ma addirittura a me stesso. Ad ogni passo che faccio, il freddo emotivo di queste mura, si trasforma progressivamente in un caldo soffocante, che toglie letteralmente il respiro.
Passati i vari uffici, Matricola e Casellario, la tensione e l’ansia crescono a dismisura e frastornato e quasi incredulo, mi accorgo di essere arrivato all’ultimo cancello; sembra un sogno, l’aria nel cortile è fresca e trasmette una sensazione mai provata finora (questa è la prima volta che esco in permesso da quando ne ho memoria). Sono le 9:30 e i lampioni, appena fuori dal carcere, sono ancora accesi: “penso per ovvi ma necessari motivi di sicurezza”, rendendo l’atmosfera ancora più surreale, rispetto a quello che mi aspettavo dopo undici e consecutivi anni di detenzione, i marciapiedi, le strade e gli alberi che caratterizzano questa cartolina tanto sognata, sembrano animarsi e tutto finalmente prende forma e, guardando in alto verso il cielo, capisco che finalmente è tutto vero, dopo tanti anni ho ritrovato il mio diritto alla libertà e con essa sto scoprendo anche un nuovo me stesso.
Inizialmente mi sento come si sente un bambino alle prese con i primi passi, curioso, confuso e infinitamente felice di essere in questo mondo “al di fuori”.
Strada facendo incontro parecchie persone, ma visto le miei condizioni emotive, faccio finta di niente, quasi come se, in quel momento, voglia prendere le distanze da quello che fino a qualche momento prima è stata casa mia e quelle persone, i miei vicini o meglio i miei compagni di sventura nel bene e nel male.
Solo, perso e preoccupato, oltre al muro di cinta, finalmente intravedo il mio accompagnatore, voluto dal Magistrato di Sorveglianza, dopo un breve abbraccio, mi indica la “limousine” che ci accompagnerà durante il viaggio, di questa fantastica e indimenticabile giornata del mio primo permesso premio.
Strada facendo ritrovo subito le abitudini perse da anni, con il traffico, i semafori, le rotonde, i condomini, i parchi, i negozi e persone di tutte le etnie ed età, che nel freddo della mattina, avvolti da giacconi e sciarpe, con uno strano apparecchio tra le mani, che continuano ad accarezzare con un dito (che poi scoprirò essere lo smartphone), sembrano volersi isolare dal mondo intero e vivono la loro vita con una calma ed una pazienza invidiabile, ma a mio giudizio contestabile.
La mia prima richiesta è quella di fermarsi al più presto in un tabaccaio, per poter bere un caffè, acquistare un pacchetto di sigarette e pagare alla cassa con dei soldi veri e miei, in tutta risposta ricevo il resto, che inizialmente non so neanche bene dove mettere, quindi con non poca difficoltà, opto per la tasca destra, ritorno alla mia “limousine”, con il mio accompagnatore che mi aspetta e mi guarda incuriosito e divertito e per questo non lo biasimo, dev’essere davvero divertente e interessante vedere un detenuto alla prese con gesti e situazioni che non vedeva e non faceva da tantissimi anni.
Prossima tappa, un bel giro panoramico per il centro di Torino.
Parcheggiamo e iniziando a camminare. Guardo minaccioso tutto quello che mi gira intorno, incontro parecchi sguardi che sembrano perplessi e incuriositi almeno quanto me di vedermi lì, quindi dopo un attimo di imbarazzo, ritrovo lucidità e riesco a ritrovare il buon umore incominciando a lasciarmi alle spalle, quello che in quel momento, considero ingenuamente la mia vecchia vita. Per la fretta di uscire da quello stato d’animo, attacco a parlare senza sosta e domandando con interesse: “Cos’è quello, cos’è quell’altro”, al mio paziente e disponibile accompagnatore che con calma e comprensione, risponde alle mie mille e più domande, attenuo gran parte dei miei dubbi e delle mie incertezze.
Si fa presto l’ora di pranzo e decidiamo di andare in una piccola ma accogliente pizzeria, dove dicono di fare la vera pizza napoletana, ordino una Margherita, mentre aspetto affamato che arrivi la pizza, sorso dopo sorso assaggio un sorso di birra, mi ero  dimenticato di quanto fosse buona e dissetante questa bevanda, in carcere vietata da parecchi anni oramai, la pizza è ancora più buona e dopo un bel caffè, mi alzo e mi sento soddisfatto e sereno come non mai, quindi sempre più motivato e deciso a lasciarmi i miei demoni alle spalle, ed a conoscere  il mondo nuovo che mi circonda, usciamo per strada e ricominciamo il giro turistico di Torino, città che incomincia a piacermi ed affascinarmi sempre di più.
È  Domenica, molti negozi sono chiusi e non c’è tanta gente in giro, questo tutto sommato è quasi un bene, vista la situazione, noto l’atmosfera e il paesaggio autunnale, il marroncino delle foglie sparse sui marciapiedi mi danno un senso di pace, che mi aiuta a rilassarmi, tant’è vero che di conseguenza mi dimentico chi ero e non chi sono e da dove vengo, riuscendo così a trascorre il resto del pomeriggio, proprio come un qualsiasi altro turista, che visita per la prima volta una bella e interessante città come questa.

P.S.: senza offesa per nessuno, secondo me Milano è più bella!

Arriva l’ora di cena e mancano poco meno più di due ore, al mio rientro in carcere, immediatamente mi ritorna quel fastidiosissimo senso di inquietudine e impotenza, che ha caratterizzato gran parte della mia vita detentiva e vi sto parlando di decenni, giorno in più giorno in meno, di privazione totale della libertà. Comunque adesso sono qui, ed ho ancora una cena da uomo libero e affamato da consumare, quindi mi faccio forza e scelgo un ristorante all’apparenza niente male, poi scoprirò che si mangia anche davvero molto bene, prendo un primo piatto a base di pesce, ordino un secondo sempre a base di pesce, parlando del più e del meno con il mio accompagnatore si fanno le otto di sera, quando manca un’ora e mezza alla fine del permesso, prendo una deliziosa torta alla frutta con un caffè e a malincuore mi avvio verso l’uscita per tornare al mio destino.
L’atmosfera e decisamente cambiata e anche il mio morale con essa, la città illuminata dai lampioni e quasi irriconoscibile, faccio fatica ad orientarmi, come mi era successo invece durante il giorno, i semafori ai miei occhi hanno un colore accecante e più che sicurezza mi ispirano inquietudine e pericolo, ad ogni incrocio mi volto a destra e a sinistra per essere sicuro che non arrivi nessun’altra macchina, guardo la città scomparire piano piano sotto i miei occhi e sento crescere in me un senso di nostalgia e gioia allo stesso tempo, la prima perché dovrò aspettare di poter uscire un’altra volta per rivedere tanta bellezza e riprovare delle emozioni stupende ed indimenticabili, la seconda perché tutto sommato adesso al contrario di prima ho l’opportunità di iniziare a ricostruirmi una vita in un posto diverso, con obbiettivi diversi e soprattutto da uomo diverso, ciao Torino è stato un piacere conoscerti, ci vediamo alla mia prossima gita turistica.

C. D. B.

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