Questa sorte di mini Sindrome di Stendhal l’ho provata l’altro giorno davanti al manifesto del Salone del Libro 2017 dall’evocativo titolo “Oltre il confine”. Il manifesto raffigura, con tenui e caldi colori, un grande libro aperto e disposto verticalmente su un minaccioso muro sovrastato dal filo spinato (c’è un interessante libro di cui non ricordo il titolo sulla storia e sulle implicazioni politico sociologiche del filo spinato) in modo che possa creare una sponda tra due mondi separati. Sul dorso del libro vediamo di spalle una ragazza, dai capelli mossi dal vento, che, grazie alla postazione creata dal libro, scruta l’orizzonte precedentemente negato.
Non poteva esserci immagine più azzeccata per descrivere la portentosa forza della cultura nell’abbattere, o almeno scavalcare, i tanto tornati di moda muri che, di colpo, sembrano diventati la panacea alle sfide della modernità. Ma io mi sono incantato anche, e soprattutto, per altro.
Alzando gli occhi dal manifesto e dirigendoli verso la finestra ho visto l’alto e spesso muro che da ormai più di un lustro mi separa dal civile consesso e nella mia mente sono iniziati a riaffiorare tutti i ricordi legati ai libri letti in carcere, a tutte le emozioni che mi hanno fatto provare e a tutte le “evasioni” che mi hanno donato.
Fin da bambino mi è sempre piaciuto leggere, e non essendo un appassionato sportivo o un amante della tv trash (sono più per i vecchi film bianco e nero), non appena arrestato è stato per me naturale cercare la biblioteca interna al carcere in modo da dare un senso alle mie giornate. Da allora la biblioteca è diventato il mio "territorio" preferito, quello che gli psicologi chiamerebbero “luogo sicuro”, lo spazio dove, come diceva la Holly Golightly di Colazione da Tiffany quando era nell’omonima gioielleria, "nulla può accadere e scompaiono le 'paturnie'”.
Una delle caratteristiche peculiari del carcere, e che sempre rimane impressa in chi lo visita per la prima volta, è il rumore che continuamente, ad ogni ora, ad ogni minuto vi regna. Le pesanti chiavi che gli agenti tengono appese al cinturone e che continuamente sbattono, i cancelli che si aprono e si chiudono ininterrottamente, le tv sempre accese, le voci di ogni dialetto e lingua che si sovrappongono, le urla di chi non ce la fa più. Nonostante tutto ciò a me è sempre bastato iniziare la lettura di un libro per estraniarmi da tutto ciò che mi circonda e, proprio come il manifesto del Salone salire in cima al libro, allargare il mio orizzonte a tutto quello che mi è precluso e vivere quelle esperienze che da anni albergano solo nella fantasia.
Da qualche anno le mie condizioni di vita penitenziaria sono nettamente migliorate, infatti sono riuscito a trasferirmi in una sezione decisamente più tranquilla, il Polo Universitario dove studio Giurisprudenza, e collaboro con il progetto, della cooperativa ETA BETA, Letter@21 nel quale la scrittura è il ponte con il fuori, e ancora di più i libri sono diventati la mia salvezza nei momenti bui e le virtuali lenzuola da annodare per "scappare dalla finestra".
Per un periodo ho fatto il bibliotecario e devo dire che molti sono quelli che scoprono i libri durante la detenzione. Entrano in biblioteca per fare un giro, incontrare un amico, ma poi timidamente si aggirano tra gli scaffali, quasi intimoriti da tanta cultura, e iniziano a chiedere di un libro nella loro lingua, di quello su cui è basata quella serie di film o uno di poesie per scriverle alla fidanzata e così iniziano ad appassionarsi e non smettono più di leggere. Diventandone dipendenti perché si rendono conto dell’enorme potere lenitivo della pagina scritta e di quante avventure possono vivere senza dover prendere altri anni di condanna.
Per questo le iniziative di incontro e di lettura organizzate negli scorsi anni nel periodo del Salone del Libro all’interno dei penitenziari piemontesi sono sempre state molto apprezzate. Non so se anche quest’anno siano state confermate, ma penso che, visto il titolo della manifestazione, oggi siano più che mai indispensabili.
Crediti immagini: particolare del Manifesto del Salone realizzato da Gipi
(D. G.)