Un titolo che sembra il sequel di Papillon. Forse ci si avvicina per davvero, considerando che parlare di carcere e lavoro insieme può sembrare fuorviante e produrre distorsioni. La realtà è quella vissuta da persone e non da reati, all’interno di luoghi concepiti dal legislatore come ambienti preposti all’opera di rieducazione e reinserimento, anche se le prerogative in questione lasciano il tempo che trovano fra contraddizioni, dicotomie e confusione.
Ecco uno degli stereotipi del carcere e della presunta perfezione che esso crea o induce nelle persone che lo abitano, vivono, subiscono. Facciamo subito un distinguo, il termine “pulizia” nell'ordine generale delle cose possiede varie accezioni, limitiamoci a quella della persona e quella del posto in cui si “vive”, la cella.
Personalmente, il rapporto che ho potuto instaurare con D. oltre all'ambito del “lavoro fra colleghi” è stato quello che verteva sul lato umano e personale: è una persona che per certi aspetti non viveva l'esperienza del “carcere” inteso come privazione di un qualcosa, assenza di un diritto prettamente legato alla persona, che fa vivere le emozioni.
Un compagno esce di carcere, la sua liberazione è vicina: è l’autunno del calendario, in cui gli ultimi fogli cadono, trascinandosi dietro i giorni, le ore di una detenzione che volge al termine, verso l’inevitabile libertà.
Venerdì 13 Ottobre, alle ore 14:00 si è tenuta presso il Teatro della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino la proiezione della pellicola “Vera” alla presenza della regista Tizza Covi e della protagonista Vera Gemma.
Sono ormai da anni che mi guardo le dita della mano sinistra, dove nello spazio tra le nocche e le unghie, tanto tempo fa quando ero ragazzo mi tatuai la parola free.