Gli oltre settanta osservatori volontari di Antigone hanno visitato decine di carceri e sentito centinaia di storie di persone in esse ristretti e da questo materiale nasce il Rapporto che descrive le condizioni strutturali, il clima detentivo, il rispetto della legislazione penitenziaria e le situazioni stigmatizzate in tante denunce di detenuti.
In un contesto sociale del quale l’interesse per l’universo carcere dura il tempo di qualche tweet (e neanche trend topic) ed esclusivamente per invocare pene esemplari o, all’opposto, indignarsi per situazioni di assoluto degrado come quella degli OPG, il lavoro di Antigone è ancora più indispensabile.
Dopo la prefazione di Roberto Saviano, il quale si sofferma sulla negata possibilità di riabilitazione e reinserimento che mina le basi dell’ordinamento democratico, il Rapporto è suddiviso in tre sezioni. La prima è dedicata ai fatti, i numeri e le politiche in atto nello scorso anno, la seconda si fa portavoce dei racconti dei protagonisti che vivono quotidianamente la realtà carceraria mentre la terza e ultima parte si concentra sui difficili rapporti tra chi è detenuto e la famiglia, con un particolare focus sulle difficoltà dei colloqui.
Dai dati emerge che al 31 gennaio 2016 il numero dei ristretti nei penitenziari italiani era pari a 52.475 soggetti, rispetto a una capienza regolamentare di 49.480 posti. Grazie a politiche deflazionatorie messe in atto dopo l’ormai celeberrima “sentenza Torreggiani” sono diminuiti i ristretti e anche le condizioni di chi è rimasto sono migliorate visto che, ad esempio, praticamente in tutte le sezioni di media sicurezza oggi le celle sono aperte quasi tutto il giorno dando la possibilità di muoversi liberamente. Ma basta aumentare lo spazio a disposizione? Chiaramente no, visto che molte sono ancora le criticità che permangono in molti penitenziari, per non parlare della condizione di ex detenuto. Come sentitamente raccontato da Elton Kalica (un ex detenuto ora dottorando di ricerca presso l’Università di Padova dove sta svolgendo una ricerca sul tema dell’ergastolo ostativo) per molti “dopo il carcere resta lo stigma e detenuto per una volta è sinonimo di detenuto per sempre”. E le moderne tecnologie non aiutano, visto che gli archivi dei mezzi di comunicazione, orami accessibili a chiunque tramite internet, sono pronti a ricordare a una sterminata platea tutti gli errori del passato raccontati prevalentemente dagli articoli di cronaca, rendendo il reato per il quale si è condannati un’etichetta permanente e indelebile. Una vera e propria lettera scarlatta in grado di compromettere le relazioni lavorative e affettive.
Ampio spazio è dato alla mancata ricezione nel nostro ordinamento del reato di tortura e all’esperienza del Difensore Civico che nel corso di sette anni di lavoro ha ricevuto molte segnalazioni di persone decedute in carcere o vittime di atti di violenza e per le quali si è attivato.
Nell’ultima parte è raccontata vividamente, fino a far commuovere, la dimensione dell’attesa e dell’affetto esterno partendo da tre prospettive differenti, tutte femminili: una compagna, una figlia e una madre dalle quale emerge come la pena non affligge solo chi viene incarcerato, ma anche chi aspetta dall’altra parte del muro di cinta.
Leggere e far leggere a più per persone possibili il Rapporto di Antigone è uno dei pochi modi che abbiamo per squarciare il velo di silenzio che tradizionalmente avvolge il mondo dell’esecuzione penale e a cui cerchiamo di porre rimedio con Letter@21.