Sessantasette suicidi, centoquarantotto decessi e 59.655 detenuti al 31 dicembre 2018, mentre i reati diminuiscono. Un trend che puntualmente torna, troppo simile a se stesso, un inesorabile riavvicinamento dei numeri a quelli che costarono all’Italia la condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Soglia 60.000 è sicuramente il numero di persone recluse che allerta politici, opinione pubblica e amministrazioni in quanto prossima al fatidico numero di 64.791 che portarono nel 2010 alla “Dichiarazione dello stato di emergenza …”, ma che appunto non servirono, tre anni dopo, ad evitare la condanna. A novembre questo tetto è stato superato toccando le 60.002 unità. Situazione leggermente migliorata a fine 2018, i dati del Ministero della Giustizia registrano 59.665 persone ristrette, ma che continua ad indicare un incremento al ricorso delle misure detentive nel nostro paese.
Se dopo i primi due anni successivi alla Sentenza Torreggiani (sino al 2015), quando le presenze diminuirono, passando da 62.536 a 52.164, di anno in anno si è assistito ad un aumento esponenziale. Portando, oggi, il tasso di sovraffollamento delle patrie galere al 118%, rispetto ad una capienza regolamentare di 50.581 unità. Delle oltre cinquantanovemila persone ristrette, 2.576 (4,3%) sono donne e 20.255 straniere (quasi il 34% del totale). Un anno fa, al 31 dicembre 2017 gli ospiti degli istituti di pena erano 57.608, con un tasso di sovraffollamento pari al114%, di cui 19.745 stranieri (oltre il 34%). 2057 persone in più in dodici mesi finite dietro le sbarre, nonostante, tra l’agosto 2017 e l’agosto 2018 i reati sono diminuiti di quasi dieci punti percentuali e la percentuale di detenuti stranieri non solo non è aumentata, o rimasta costante, ma leggermente diminuita.
Quindi nessuna emergenza sicurezza, parrebbe da questi numeri, ma incremento delle criticità del sistema carcerario si, che si sommano a quelle note: dalle strutture inadeguate alla carenza di personale (dall’analisi, ancora in corso dei dati elaborati dall’Associazione Antigone, a seguito di visite in 86 istituti, risulta in media 1 educatore ogni 80 detenuti ed un agente di polizia penitenziaria ogni 1,8), alla mancanza di opportunità formative (accesso per il 4,8% dei detenuti) e occupazionali (solo il 2,5% di persone ristrette lavora per datori di lavoro privati). A preoccupare anche i numeri dei suicidi in carcere (67) e la presenza di 20 bambini in carcere al seguito delle proprie madri presso strutture che non siano ICAM. Dal 2000 ad oggi solo nel 2000 e nel 2009 si è assistito a più suicidi in carcere secondo il dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti.
Sovraffollamento e morti volontarie, numeri che tendono a non diminuire negli anni, a cui si vorrebbe porre un freno, secondo l’attuale indirizzo governativo con la costruzione di nuovi carceri. Soluzione che suscita non pochi dubbi, causa la dilatazione di tempi, risorse e spese: un nuovo istituto da 250 posti costa circa 25 milioni di euro. Secondo Antigone si potrebbe invece, per avere risultati immediati e duraturi, investire in misure alternative (meno spese e tassi di recidiva decisamente più bassi). Sono circa un terzo le persone recluse che potrebbero beneficiarne e finire di scontare la propria pena in una misura di comunità (coloro che sono in custodia cautelare). Nonchè "… togliere la volontà di ammazzarsi e non limitarsi a privare i detenuti degli oggetti con cui farlo”, come sostiene Patrizio Gonnella presidente Antigone, portavoce di una proposta di legge per prevenire i suicidi. “Articolata in tre punti: maggiore accesso alle telefonate, possibilità di passare momenti con i propri famigliari, inclusa l'opportunità di avere rapporti sessuali, diminuzione dell'utilizzo dell'isolamento.”
G. B.