Il carcere è routine, per molti al confine con la noia totale, pochi spazi, molto tempo da dedicare a non si sa bene cosa. Se non si è aperti al lavoro, o non si frequenta un corso, restano pochi gli espedienti con cui riempire le ventiquattro ore della giornata, e soprattutto per scaricare le energie e lo stress che si accumulano nel corso di queste, data anche la scarsa possibilità di muoversi che offrono gli spazi. Per questo ci sono detenuti che sentono la necessità di dedicarsi ad attività sportive, sono uno dei pochissimi strumenti sani con cui contrastare i malesseri a cui ci si trova a dover far fronte: i pensieri sul fuori, ovvero sui parenti e i familiari, la frustrazione dell’immobilità, lo stress e il nervosismo che si accumulano facilmente in sezioni spesso rumorose e sovraffollate. Questo induce molti a trovare rifugio in attività sportive di gruppo, quasi sempre il calcio, e di fitness, corsa, allenamenti a corpo libero o in palestra. È un bene, da un lato, è cognizione comune il valore positivo dello sport, i benefici dell’aggregazione caratteristica degli sport di squadra, così come l’apporto salutare delle attività individuali sulla persona. Questo fino a che si rimane entro il margine del passatempo, ma può accadere che questa dedizione sfoci nell’agonismo, in un accanimento eccessivo derivato dalle scarse alternative possibili offerte dal carcere. Con varie conseguenze.
Intanto un dato fondamentale: molti detenuti prima di entrare in carcere non erano dediti a nessuno sport particolare, si accostano a questo genere di pratiche per necessità, ma anche per spirito di aggregazione, per tendenza, per voglia di primeggiare o di assecondare un culto del “machismo” che in galera è predominante, coadiuvato anche dall’immagine “tipo” del carcerato, nella quale attraverso il cinema il detenuto, di riflesso, si identifica. Questo approcciarsi all’allenamento, alla palestra e alla pesistica in particolare, va a creare problemi anche non indifferenti nella persona, in carcere raccatti consigli e “dritte” un po’ dove capita, sono tutti personal-trainer, sono tutti esperti di tutto, e si ricava solamente una gran confusione su come e cosa si debba fare.
È facile poi volersi lanciare presi dalla foga dell’allenamento, vedere i “fusti” in palestra che s’allenano e non voler essere meno da loro. Il carcere è dolore per questi puristi dell’allenamento fisico, il tuo workout può definirsi completato solo quando i muscoli sono brucianti e distrutti, il sudore dev’essere copioso. “Lascia stare i pesi della chicco” (definizione presa a prestito dalle forbicine arrotondate chicco appunto, che sono le uniche disponibili tramite spesa) molto meglio invece buttarsi sui “cerchioni della macchina” (che sono i pesi da 30kg che per diametro in effetti rimandano alla mente questa immagine), e finire così a sollevare carichi eccessivi in modo errato, autoinfliggendosi così patimenti e arrecando problematiche varie ai propri muscoli, il più delle volte alla schiena o alle spalle, per poi vedersi relegati all’interminabile attesa della visita fisiatrica. Ancor più scomodi sono poi quegli attrezzi che si preparano in cella, perché la palestra è spesso piena di “atleti” e lo spazio ridotto impedisce di allenarsi come si vorrebbe, entra così in gioco il do it yourself di galera, che cerca di trovare pronte soluzioni a questo problema, i classici bastoni di scopa a cui si agganciano alle estremità casse d’acqua (riempite con l’aggiunta di sale fino, per i più arditi) e altri strumenti sperimentali dalle fogge più disparate. Queste soluzioni risultano spesso scomode e inefficaci, e molti le abbandonano dopo qualche tempo.
Anche negli sport di squadra, in misura minore, emergono dinamiche di protagonismo e antagonismo quasi fanatico, si sente molto il culto della “sfida” e, nonostante l’idea di sport di squadra dovrebbe suggerire l’aggregazione, l’individualismo è una costante, fedele compagno della volontà di mettersi in mostra con il proprio talento e le proprie capacità.
Lo sport in carcere non è ovviamente solo questo, esistono dimensioni in cui viene praticato in modo sereno e salutare, tolte le squadre e i progetti sportivi messi a disposizione dall’istituto in cui si risiede, dove nascono amicizie e si coltivano interessi comuni: rappresenta forse la realtà più efficace, se presa per il giusto verso, di affrancarsi dalla pesantezza della detenzione, l’accento proprio per questo andrebbe posto sulla scarsa varietà di attività a disposizione, sul numero limitato di posti e la difficoltà ad accedere ai progetti sportivi dedicati, e l’assenza di personale che possa seguire i detenuti che non riescono ad avere accesso a questi ultimi. Un contesto da ampliare per garantire una maggiore consapevolezza e sensibilizzare a una vera sportività detenuta.
Redazione