La pandemia ha lasciato in noi traumi che non andranno via con molta facilità e noi detenuti in qualche modo abbiamo vissuto la minaccia in maniera diversa, probabilmente concentrandoci più su quello che era il reale problema, senza risentire di quelle che sono state le restrizioni della libertà attuate dal governo per porre un freno ai contagi. Fuori è ovvio, la gente ed i giovani in particolare, non sono abituati alle limitazioni della libertà, mentre noi detenuti almeno sotto questo aspetto eravamo organizzati, e lo siamo ancora oggi a prescindere se vi è o meno un’emergenza.
Tre mesi dell’estate che in genere a tutti i detenuti lasciano qualcosa, perché di ricordi in questo periodo ne riaffiorano dentro la mente.
Probabilmente il primo di questi pensieri che attecchisce perfettamente con il mondo esterno è legato alla prima rondine, che non è la prima arrivata, ma la prima avvistata da ogni carcerato.
Ogni anno, il sottoscritto ricollega l’inizio dell’estate non al mese, ma all’avvistamento della prima rondine, che sorvola il carcere in prossimità dei passeggi. Puntualmente quella rondine almeno per un po’ mi permette di volare con lei, un viaggio di pochi minuti che mi consente di uscire, di evadere e rivivere pezzi di vita che dalla quotidianità del carcere sono lontani mille miglia.
L’estate in carcere è fatta di profumi e di immagini che spesso sarebbe meglio non sentire o vedere, perché in sostanza pensare, volare, chiudere gli occhi ed evadere è si meraviglioso, ma c’è la parte peggiore di tutte che è quella del ritorno, è quella che viene successivamente, quando si rimettono i piedi a terra per camminare nel cemento, duro, secco e polveroso di un carcere.
Tuttavia la stagione estiva ci permette di fare altro, certamente in maniera più rilassata anche in questi luoghi. Si ha più tempo per l’attività fisica, per la cucina, e chi lavora, del resto come avviene fuori, beneficia di un periodo di ferie tassativamente da trascorrere sempre nello stesso carcere.
Questa estate in effetti è stata un po’ diversa. Il laboratorio Eta Beta sito all’interno del carcere Lorusso e Cutugno è stato riverniciato. Una settimana di lavoro che ci ha dato grande soddisfazione. E poi ormai questo luogo, dove centinaia di idee, racconti e storie tutte partorite da detenuti, è divenuto nel tempo il simbolo di un valore unico, una qualità che si riflette nell’importanza della libertà di parola, di pensiero e del contatto con l’esterno. In sostanza credo il laboratorio sia ormai composto dalle parole, dalla voce e dalle testimonianze di tutti noi detenuti, e non solo di quelli che ci lavorano.
L’estate in cuor mio è sempre bella, perché alla fine mi sono sempre detto che non esistono stagioni che non vale la pena di viere.
La vita va vissuta, a prescindere dallo status del soggetto, dal sesso, dall’età, dalle idee e dal luogo dove ci si può trovare.
Buona continuazione