Lunedì, 18 Dicembre 2023 18:50

I luoghi comuni

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Foto di Elliot Sloman su Unsplash Foto di Elliot Sloman su Unsplash

Il carcere, questo strano mondo fatto di persone che vanno e vengono. Ovviamente il riferimento non è ai ristretti, di loro ne parleremo dopo, per il momento concentriamo il focus sulle persone esterne al carcere. Persone che lavorano nel carcere, con il carcere, per il carcere. Professionisti e fornitori che supportano in un modo o nell'altro la quotidianità del posto dove i “cattivi” soggiornano.

Ora, queste persone pur “frequentando” il posto hanno una concezione del vissuto interno che si fonda sul sentito dire, che è tutto dire. Tali racconti divengono poi quello che all'esterno si racconta del carcere, dunque non c'è da meravigliarsi se uno dei soggetti che abbiamo menzionato, narrando la propria esperienza interna, da visitatore racconti quello che gli è stato detto, e poco importa se poi è vero o non è vero, perché potrebbe essergli stato narrato solo per creare un certo effetto sulla persona.
Dunque, se fossimo fuori, seduti in un bar, assisteremmo al classico chiacchiericcio, del genere "e ma in carcere hanno il televisore, stanno bene, è pulito l'ho visto io...", e casomai è anche vero, perché se lo racconta un medico o un visitatore esterno, avrà visto la parte pulita degli uffici di un carcere, non le celle o le sezioni che un carcere può avere.
Peggio è il luogo comune di taluni avvocati che incoraggiando il cliente gli prospettano alcune situazioni positive, in cui si potrebbe vincere la causa, o quelle in cui il cliente... la potrebbe perdere, e la cosa buffa è che l'avvocato di turno commenta "qui però perdi...". Qui il luogo comune è che quando si vince si vince in due e quando si perde, perde solo il cliente.
Quindi i luoghi comuni si sprecano a seconda della persona che li recepisce e da chi li narra.

A questi commenti generalizzati, che veicolano storie da un posto ad un altro, si aggiungono i luoghi comuni del detenuto stesso, vuoi per averli ascoltati da altri, o perché proviene da un'altra realtà detentiva, crede, in considerazione di una sola grande verità, che: ogni carcere è un ministero a sé. Dunque la chiacchiera ha gioco facile all'interno delle prigioni, per una serie di motivi che spaziano dalla diversità delle carceri alla diversità del soggetto narrante che accentua o meno talune caratteristiche quando racconta un'esperienza detentiva personale.
Dell carcere si dice che trasforma chi ci vive. Personalmente non credo che ciò sia vero, “l'uomo prigioniero” si adatta al posto, osserva, fa prevalere l'istinto. Non è questione di acume della persona, è l'istinto che prevale. La difesa è una perenne maschera che il prigioniero indossa.
È una difesa e su quello fonda la sua quotidianità. Accade anche che i sodalizi creino i miti, perché si assiste alla complicità indiretta delle persone “complici” nell'appoggiarsi uno all'altro confermando quanto viene detto da uno, che trova puntuale conferma nell'altro.
"... Lo sa pure Tizio...", in passato un classico era: "... l'ha detto la televisione...".

Dunque non siamo più solo quel popolo di sognatori e navigatori... siamo anche degli affabulatori. Quelli che una cosa la trasformano in dieci cose. Poi per regola, quello che racconta il detenuto varia da detenuto a detenuto: per età, per luogo di provenienza, etnia.
Soprattutto in merito alla religione che si professa, sui racconti legati ad essa e sui dettami da osservare. L'uomo ha bisogno di grosse motivazioni per non cadere in tentazione e dunque, per i padri di una professione religiosa, stabilire divieti e narrare miti che li generassero era una necessità per salvaguardare la salute delle persone.
Quindi superstizione, bisogno di credere, di affermarsi, induce a esagerare. Un uomo come lo vedeva Prometeo, limitato, fragile. Allora quest'uomo che non si accetta lo grida nel modo che sa fare, accentuando una verità troppo piccola per avere ascolto.
Non è il cane che ha morso l'uomo... ma l'uomo che ha morso il cane.

Redazione

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