Il carcere duro, l’articolo 41 bis, e l’ergastolo, ostativo o meno, non sono la stessa cosa, così come la detenzione, la privazione della libertà, non significa che la pena debba essere meramente afflittiva e contemplare trattamenti contrari al senso di umanità.
In carcere tutto ciò che riguarda il “fuori” è reale e distante allo stesso tempo, situazioni politiche e sociali che non viviamo sulla nostra pelle, di cui non possiamo avere un’esperienza diretta, ripercuotono però i loro effetti sui nostri affetti, sulle nostre famiglie, sui nostri cari oltre le mura.
È una mattina qualsiasi di un dicembre qualsiasi, fredda, grigia e scialba. Sto entrando in sala colloqui, non aspettavo visite, mio fratello è venuto a trovarmi. Sono dentro ormai da anni, ed è da quando mi hanno arrestato che non lo vedo.
Sabato 3 Dicembre, Torino via Trivero 16: interviste, racconti, video, poesie, testi, testimonianze di docenti, volontarie/i e allievi/e sull’esperienza della scuola nella Casa Circondariale “Lorusso & Cutugno” di Torino.
Natale, tutti più buoni, tutti si predispongono ad essere gentili, cordiali, ma poi vi è una scadenza che si ripete, anno per anno. E puntualmente ci chiediamo, cosa regalare. Pensiamo ai regali degli anni scorsi, pensiamo a chi, pensiamo cosa regalare e lì si inceppa il ragionamento. Si inceppa perché, oltre a pensarlo prima dobbiamo organizzarci, fare scelte e la cernita dei destinatari.
Un compito che ogni anno, può allungarsi per la lista dei nuovi amici e conoscenti oltre ai parenti. C’è da dire che poi bisogna conoscere i gusti del destinatario del regalo. Il solito libro, cravatta, sciarpa e cappellino, o sopramobile, che saranno destinati allo stanzino o peggio al riciclo dell’anno prossimo. Questo per quello che riguarda il “do” latino “dare”. E comunque, l’altra parte dice Grazie e incamera il regalo. Il punto è su quando si è … l’altra parte.
Invece, io, “coltivo” ancora un desiderio, una cosa che avrei voluto che mi regalassero da bambino e che da adulto, quando ho avuto modo di rivedere, ero quasi tentato di comprare per giocarci e ricordare, ma poi non l’ho fatto, per non dover “giustificare” un qualcosa che per quanto possa essere un hobby rimane nella sfera personale dei ricordi.
Facciamo un passo indietro, tanti anni fa, fra i giocattoli più ambiti, per le bambine c’era la bambola, la casa delle bambole e tutti i surrogati, dello stereotipo femminile, pentoline, trucchi etc. Per i bambini invece c’erano - ndr :e ci sono ancora - i “Lego” (mattoncini di plastica per costruire quello che la creatività, suggeriva (costavano tanto) e poi il “Meccano” (la versione povera dei Lego, striscette bucate di ferro e dadini, con cui si potevano idealmente costruire strutture tipo “Torre Eiffel”), praticamente, l’apprendistato futuro dell’operaio metal-meccanico. Poi c’era la pista “Policar” con macchinine elettriche telecomandate e i trenini elettrici a pile o a molla che erano meno cari.
Ecco io aspiravo a quello (al più economico, ma nella sua economicità costava 1.000 lire. Erano tante per un bambino), anche se mi soffermavo per minuti lunghissimi davanti alle vetrine arredate con i vari giocattoli dei negozi di allora. A me ne piaceva una in particolare, quella di un negozio di giocattoli, si chiamava “Gioia dei piccoli” era a due isolati da dove abitavo e quando, mi era permesso di scendere giù, nel cortile (avevo 12 anni), con gli altri coetanei dello stabile andavamo a guardare le vetrine di questo negozio. Minuti “eterni” passati a guardare quel trenino che girava, fra i vari scenari costruiti vicino alle “rotaie”: alberi, casette, fattorie, montagne, tunnel, lucine rosse e verdi che lampeggiavano come simulacro di una realtà, esclusiva per quel mondo. E io mi ci tuffavo, pensando di essere, ora il macchinista, ora di essere fra quella natura che odorava anche di “qualcosa”, perché qualche volta entravo, ed era ancora più bello vederlo da vicino, quando sentivo un odore diverso, che forse era normale, per chi lo percepiva quotidianamente, ma era appagante, per i sogni di un bambino.
L’abitudine della lettera di Natale sotto il piatto del genitore, c’era, ma io l’avevo persa l’anno prima, durante l’epifania, quando riconobbi nella calza che appendevo al letto, delle caramelle che la sera prima avevo visto in un cassetto e quando lo dissi ai miei “compagni di gioco” feci anche la figura del “fessacchiotto”, perché loro sapevano, che erano i genitori, la famosa vecchina che riempiva le calze, nella notte fra il 5 e 6 Gennaio. L’argomento era il Natale, ma io conservai gli spiccioli, che mi davano mio padre o mia madre e a marzo riuscii a racimolare 1.000 Lire, le ricordo ancora, le misi in un fazzoletto di mio padre (erano grandi allora di stoffa), ma amara fu la delusione. Quando il negoziante mi disse che erano finiti, l’unico modello che era rimasto era una marca che costava tantissimo. Oggi è da collezione per il mercato del modellismo, credo si chiamasse “Rivarossi”.
Morale me ne andai mogio mogio, con il sogno infranto. Le mille lire, le spesi ovviamente, credo fra bustine della raccolta degli animali, allora c’era chi raccoglieva le figurine dei calciatori “Panini” e chi, come me, quelle degli animali.
Redazione
Oggi, nel vivere quotidiano, rispetto al passato è mutato il modo di relazionarsi tra le persone. Nel contesto della prigione si vive una realtà non comune ai cittadini che vivono in libertà: la maggior parte dei detenuti, durante la carcerazione, che può essere di maggior o minor durata, si “istituzionalizzano”, possiamo dire che diventano robot che eseguono solo ordini.