Dal 29 marzo accedere al Padiglione A dell’Istituto penitenziario torinese sarà un po’ meno “grigio”, come pregiudizi e luoghi comuni possono far credere sia l’ambiente di un carcere ai più.
È una mattina qualsiasi di un dicembre qualsiasi, fredda, grigia e scialba. Sto entrando in sala colloqui, non aspettavo visite, mio fratello è venuto a trovarmi. Sono dentro ormai da anni, ed è da quando mi hanno arrestato che non lo vedo.
Oggi, nel vivere quotidiano, rispetto al passato è mutato il modo di relazionarsi tra le persone. Nel contesto della prigione si vive una realtà non comune ai cittadini che vivono in libertà: la maggior parte dei detenuti, durante la carcerazione, che può essere di maggior o minor durata, si “istituzionalizzano”, possiamo dire che diventano robot che eseguono solo ordini.
Daimon è il suo nome, dal Greco “spirito guida”, è un Golden Retriever di sei anni e mezzo dallo sguardo di eterno cucciolone che attende qualcosa. Eppure è amato, accudito, coccolato, nutrito. Ma lui attende qualcosa che, forse, a breve ritroverà.
Indubbiamente il confronto di una giornata di lavoro all’interno del carcere, rispetto ad una giornata lavorativa esterna al contesto detentivo è qualcosa che sfugge al criterio di lavoro come produttività, come soddisfazione per il proprio operato.