Ho la penna in mano che vomita inchiostro su questo logoro foglio che chiede pietà per la forza ed energia che imprimo fino a lesionarlo, divelto come le ferite che mi si schiudono ogni volta che scrivo queste lettere per quelle persone ancora in carcere che posso chiamare amici.
Non c’era giorno che non mi crogiolassi nella malinconica reminescenza di una vita passata. Col passare degli anni ho compreso che per far andare avanti la barca dovevo tagliare l’ancora. Per metterla in moto e fare rifornimento di quel carburante chiamato futuro avrei dovuto cambiare abitudini, riversandole dentro il serbatoio della mia disperazione per approvvigionarmi di valori mancati.
Ho sempre temuto che potessi ammalarmi con il morso di un cane randagio, di un pipistrello, o di un orsetto lavatore, per poi scoprire che la rabbia può derivare anche da un’encefalite virale.
Dicembre all’insegna delle emozioni, non solo per le feste comandate. Su iniziativa del Fondo Musy si è tenuto presso il Salone Lingotto di Torino il concerto di Malika Ayane, cantante milanese di origini marocchine che è riuscita a fare della sua voce calda tipicamente soul, un connubio perfetto con i testi drammatici sulle melodie R n’b.
Noi non siamo etichette ma persone e premetto che ora sono costretto a etichettarmi per farvi comprendere cosa sto vivendo, io sono un nome qualsiasi che volete voi, sono appena uscito dalla galera e sono un pendolare.
Un titolo che sembra il sequel di Papillon. Forse ci si avvicina per davvero, considerando che parlare di carcere e lavoro insieme può sembrare fuorviante e produrre distorsioni. La realtà è quella vissuta da persone e non da reati, all’interno di luoghi concepiti dal legislatore come ambienti preposti all’opera di rieducazione e reinserimento, anche se le prerogative in questione lasciano il tempo che trovano fra contraddizioni, dicotomie e confusione.