Anni fa prima della riforma del ‘75 dell’Ordinamento penitenziario, il carcere era un luogo dove molte, tante, troppe persone venivano letteralmente stipate in luoghi angusti, sporchi e maleodoranti…
Credo che in quest’ultimo decennio, forse anche più, si sia persa la volontà di leggere, o meglio, di entrare in una libreria ad acquistare un libro.
Inutile dire che chi fuma sa che si sta rovinando la salute e buttando il suo denaro. I fumatori non fumano perché a loro piace farlo o perché vogliono, ma semplicemente se ne autoconvincono e lo ripetono anche agli altri per non perdere la stima in se stessi. Fumano perché si sentono dipendenti dalla sigaretta, perché forse pensano che li rilassi, che dia loro sicurezza e coraggio e che la vita senza fumo sarebbe molto meno piacevole.
Nel corso di una carcerazione, l’amante della lettura (e della letteratura) arriva a condensare nella sua cella una vera e propria biblioteca minima di galera.
Premesso che storicamente il fumo è quell’abitudine che raccoglie e unisce le persone in un’aggregazione, che un tempo era anche un comportamento antropologico (le tribù indiane con i calumet riunite per decidere un qualcosa), fumare, con la scoperta dell’America e del tabacco, è divenuto anche un nuovo modo di comunicare fra le persone, un comportamento acquisito, che si è trasformato in una caratteristica di una specifica personalità che distingue chi fuma da chi non fuma.